mercoledì 11 novembre 2015

“…Ma sono mille Papaveri Rossi” - Remembrance Day

La mia idea della guerra me la sono formata con Fabrizio De Andrè
Non è che sia cresciuta in una famiglia di anarchici o figli dei fiori, i miei genitori nel ’68 più che a manifestare per pace e amore, erano occupati a farmi nascere e a tenere insieme una famiglia, ma insomma, respiravo quell’aria lì. 
Più che i libri, i racconti di mio padre sui bombardamenti, la scuola, io avevo La guerra di Piero*, una canzone, a spiegarmi l’assoluta stupida, inutile crudeltà della guerra: 
“…dei morti in battaglia ti porti la voce, 
chi diede la vita ebbe in cambio una croce”
Da quando sono in grado di elaborare opinioni sulle cose ho pochi punti fermi ed uno di questi è il rifiuto della violenza, dell’uso delle persone come fossero pedine, e per estensione, l’antipatia verso eserciti, gerarchie, ordini, posti di comando. 
E’ un fatto viscerale, non mediato dalla ragione, posso dire che ce l’ho nel sangue.

Uno dei (pochi) dubbi che avevo nel pensare di emigrare qui in UK era l’attitudine secolare di questo popolo alla guerra, la Gran Bretagna è uno dei paesi occidentali che tende a “mostrare i muscoli” quando c’è da risolvere questioni internazionali, e io ho sempre visto questo fatto con preoccupazione. Non c’è molto da fare, è la loro storia, è l’eco dell’Impero dissolto da poco, posso dire che ce l’abbiano nel sangue.

Poco dopo il mio arrivo, nell’Ottobre 2012, cominciai a notare per strada, alcuni individui che indossavano una spilla a forma di fiore rosso, pensai allo stemma di un club, ma più i giorni passavano, più notavo persone con decorazioni o spille con questo strano fiore rosso. 
Cercavo di individuare dai loro volti una qualche appartenenza, ma erano giovani, anziani, uomini e donne, di vari ceti sociali. 
Quando cominciai a vedere in televisione giornalisti, attori e presentatori con la spilla mi allarmai. Cos’è, una specie di setta segreta? Stiamo per subire un’invasione aliena e verranno uccisi solo quelli non “segnati” dalla spilla? Qualcuno mi disse: “ma tra poco è il Poppy day!”, e io non sapevo che il papavero (poppy) era il simbolo dei soldati caduti in guerra, la canzone che mi aveva formato mi tornava in mente…

Durante la prima guerra mondiale John McCrae scrisse la poesia In Flanders Fields (Nei campi di Fiandra) dove si parla di papaveri che sbocciano tra file di croci, ecco perché da allora il Papavero divenne simbolo del Remembrance day, il giorno dei caduti in guerra, che cade l’undicesimo giorno, dell’undicesimo mese di ogni anno. Alle 11 del mattino si osservano due minuti di silenzio perché a quell’ora ci fu l’armistizio nel 1918.

E’ che gli inglesi (guerrafondai, imperialisti), hanno la capacità di usare i segni, di coltivare la memoria, di celebrare e sentirsi uniti nei simboli che mi lascia sempre senza fiato. C'è della poesia in queste manifestazioni composte, che mi affascina.
L’anno scorso, durante le celebrazioni per l’anniversario della Prima Guerra Mondiale, la Torre di Londra fu letteralmente invasa da un’istallazione di 88.246 papaveri rossi di ceramica (il numero dei soldati morti), uno spettacolo visivamente eccezionale (potete trovare alcune immagini qui).

E così io resto acerrima nemica della guerra, e trovo che non ci sia molto da celebrare, ma i morti, i morti di tutte le guerre, quelli che continuano a morire per eseguire degli ordini, o perché semplici vittime, quelli li voglio ricordare, e pregare in silenzio per loro, oggi, alle 11.


"Dormi sepolto in un campo di grano, non è la rosa non è il tulipano, che ti fan veglia dall’ombra dei fossi, ma sono mille papaveri rossi"

* "La guerra di Piero", Fabrizio de Andrè, 1964

martedì 20 ottobre 2015

Scusate il Ritardo

Lo so, lo so, non mi faccio viva da mesi ed è da maleducati…

E’ stata un’estate incollata alla scrivania: un delirio di commissioni e scadenze da infarto. Solo nel mese di Agosto ho lavorato a più di 70 disegni, tra bozze e definitivi, praticamente sfornavo illustrazioni come pizze… per una strana congiunzione astrale pareva che tutti gli illustratori in UK fossero scomparsi, partiti, malati o inadatti alle richieste.

-Ti è piaciuto lavorare a Londra, la città che non si ferma mai, e adesso che vuoi?
- Mmm… che so, respirare? O al limite, arricchirmi?
- Scordatelo.
- Ok, sigh…

Comunque adesso i ritmi sono diventati più lenti, ed eccomi qua. Volete vedere quello che ho fatto? E non ve lo posso mostrare finché non verrà pubblicato (è la dura legge del copyright)!
Però nel frattempo è uscito, per Mondadori Education, il corso di Geografia per le scuole medie a cui ho lavorato alcuni mesi fa. Si chiama MAPS (lo trovate qui)Io ho illustrato una sezione narrativa, con brani tratti da racconti per ragazzi, nei quali c’erano osservazioni sulla realtà, descrizioni di ambienti, fenomeni atmosferici particolari.

Harry Potter e la Pietra Filosofale-J.K. Rowling-in MAPS-Mondadori Education- Monica Auriemma
Al calar della notte la tempesta annunciata esplose. La schiuma delle onde altissime schizzava sulle pareti della catapecchia in riva al mare e un vento feroce faceva sbattere le luride finestre.
Il cupo rumore del tuono iniziò attorno a mezzanotte.
(J.K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale - adattato)

Harry Potter-schzzo preparatorio-Monica Auriemma
Questo è il brano in cui lo zio di Harry, pur di impedire che venga mandato ad Hogwarts, si rifugia con tutta la famiglia in una pericolante catapecchia sul mare, convinto che nessuno li troverà. Ovviamente Hagrid abbatterà la porta a spallate e porterà via Harry verso la sua nuova vita.

Confesso, sono fan della saga della Rowling, mi piace senza remore, l’unica cosa che non mi piaceva erano le illustrazioni della prima serie che ho visto in Italia. Così questa illustrazione l’ho presa come un piccolo segno del destino: potrebbe capitare a me prima o poi? Beh, pochi giorni fa è uscita la nuova edizione con le illustrazioni del grande Jim Kay e, signori, non c’è molto da dire, spettacolare. 
Sarà per la prossima volta.




Pinocchio-C.Collodi- in MAPS- Mondadori Education-Monica Auriemma




«Ah, ladracchiòlo!», disse il contadino incollerito, «dunque sei tu che mi porti via le galline?»
«Io no, io no! Io sono entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva!» rispose disperato Pinocchio.
«Chi ruba l’uva è capacissimo di rubare anche i polli.»
E lo portò di peso fino a casa, come si porterebbe un agnellino da latte. Arrivato che fu sull’aia, lo scaraventò in terra e gli disse: «I nostri conti li aggiusteremo domani. Intanto, siccome oggi m’è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu prenderai subito il suo posto.»

(Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)





Pinocchio-disegni preparatori-Monica Auriemma
Nel progetto mi è stato chiesto di non focalizzare l’immagine sui personaggi ma sugli ambienti, le atmosfere, questi erano gli argomenti da sviluppare. Qui dovevo mostrare la campagna, l’uva, gli animali, però non ho resistito, Pinocchio si doveva vedere, anche un po'. L’immagine è stata approvata, e il mio omaggio a Collodi è andato.

Cuore-E.De Amicis-in MAPS- Mondadori Education- Monica Auriemma
La povera madre aveva pianto lacrime di sangue al separarsi dai suoi figli, il più piccolo di undici anni; ma era partita con coraggio, e piena di speranza. Aveva trovato subito una buona famiglia argentina, che la pagava molto e la trattava bene. Non spendendo nulla per sé, mandava a casa ogni tre mesi una bella somma, con la quale il marito andava pagando via via i debiti.
(E. De Amicis, Cuore)
Cuore-Disegno Preparatorio-Monica Auriemma


La partenza degli emigranti: allora volete affondare il coltello nella piaga della povera emigrante del 2000? 

E va bene: guardiamoci centinaia di foto delle navi in partenza per l’argentina, scrutiamo i volti, i gesti, quel senso di attesa e lo strazio del distacco… cerchiamo di riprodurre un abbraccio, insomma… lacrimiamo, sigh…
La-Fabbrica-di-Cioccolato-R.Dahl-in-Maps-Mondadori-Education-MonicaAuriemma
Un giorno, era mattina presto, dalle ciminiere della fabbrica sottili colonne di fumo si levarono nel cielo! In molti corsero ai cancelli credendo di trovarli spalancati per riaccogliere gli operai. Ma niente di tutto ciò! Le pesanti cancellate di ferro apparivano sprangate come sempre.
(R. Dahl,Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato)

La Fabbrica di Cioccolato-schizzo preparatorio-Monica Auriemma

Qui non c’è molto da confessare: Roald Dahl. Adorazione incondizionata. E ovviamente le illustrazioni di Quentin Blake non sono superabili, ma per un momento ho assaporato il piacere di poter metter mano ad un capolavoro, e mi è piaciuto!

E questo è quanto, per ora.
Prometto solennemente di farmi viva più spesso (mi pare di sentire in lontananza un coro di “echisenefrega”, che strano…)





lunedì 22 giugno 2015

If You Are Brave Enough


Ieri mattina al parco stavano allestendo il percorso di una 10km di corsa femminile, c’erano cartelli con gli sponsor e le indicazioni, e poi messaggi di incitamento qua e la. 
Tiro fuori il cellulare e fotografo questo: 
IF YOU’RE BRAVE ENOUGH TO START, YOU’RE STRONG ENOUGH TO FINISH. Se sei abbastanza coraggioso da cominciare, sarai abbastanza forte da arrivare alla fine.
Una botta di felicità alle 7.30 del mattino era quello che mi serviva.

Penso che valga per ogni impresa. Praticare uno sport, mettere su famiglia, cambiare lavoro, smettere di fumare, studiare, dar vita ad un progetto… ti serve pazienza, determinazione, capacità di affrontare gli imprevisti e inventare nuove strategie lungo il percorso. Ma nei momenti in cui molleresti tutto, devi ricordarti il coraggio che ti è servito per iniziare, e sapere che sei forte abbastanza per portare a termine il percorso.

E poi penso a me. Sono arrivata qui quasi tre anni fa per ripartire da zero. Prima la ricerca di lavoro, poi i part-time nelle pulizie, poi l’incontro con l’agenzia, da un anno a questa parte incarichi di illustrazione per l’editoria scolastica inglese, progetti dove hai pochissimo margine creativo e sei uno delle decine di artisti in una specie di catena di montaggio, ma va bene così, facciamoci le ossa (possibilmente prima dell’arrivo dell’osteoporosi).
Pochi giorni fa una nuova proposta. Uno Story book
È un libro piccolo, è destinato all’esercizio della lingua e quindi non è un Picture book come vorrei, ma è illustrato interamente da me, compresa la copertina. 
Posso dire che sia mio, ed è il primo incarico del genere qui in UK.


“Dicette o pappice vicino a’ noce: ramm’ o tiemp’ ca te spertose”. 
Non è antico celtico, è un proverbio delle mie parti. 
“Disse il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo”

Forse non è un incoraggiamento adatto per la corsa, ma quel vermetto lì mi è sempre stato simpatico.

mercoledì 3 giugno 2015

Principesse e Samurai

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Questa dev'essere una principessa  
di un altro luogo, un altro tempo
finita chissà come nella metro di una città straniera
a portare buste della spesa
con un cappotto troppo stretto.

Unici segni di nobiltà:
sguardo fiero
un enorme turbante
grandi anelli d'argento.


Un impercettibile inchino,
(che spero nessuno  abbia notato)
e sono scesa alla mia fermata.

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Dietro di me un Cyber-Samurai che all’inizio non avevo notato.
Capelli verdi, giacca mimetica e scarpe "spaceships".

Forse lui proviene da ancora più lontano.

Si ferma un attimo ad inviare messaggi (nella Galassia?)

So dov’è diretto, siamo a Camden,
ho visto altri guerrieri come lui in un negozio di abiti da discoteca,
(ma penso sia solo la copertura per una base segreta extraterrestre)

Questi sono i primissimi schizzi che ho fatto qui. Andare in metro a Londra è per me come viaggiare nel tempo e nello spazio. Per alcuni mesi  La Principessa e il Samurai si sono fatti un lungo tour in Italia esposti alla biennale "I Colori del Sacro", adesso ho dato loro una rinfrescatina e li porterò in giro qui in UK.

Buon viaggio


lunedì 11 maggio 2015

Piccoli semi


Ebbene sì, ci sei riuscito. 
Adesso sono innamorata persa di te, legata per la vita. 
Perché un gesto così, una cosa così per me non l’aveva mai fatta nessuno…

C’erano stati dei segnali, certo, mi mandavi gratis il giornale ogni 15 giorni, poi mi arrivava il mensile con gli appuntamenti ma io pensavo: lo fa con tutti, tanto per essere educato.

Invece quando ho trovato nella mia buca delle lettere questa bustina con dei semini di fiori e una dedica: “aggiungi un tocco di colore al giardino, davanzale o balcone” ho capito che mi conosci più profondamente di quanto credessi. Sai della mia difficoltà. Del mio pollice nero…

Ho capito che quei semini (anche se li hai mandati ad altre duecentomila persone) erano per me.

Ti giuro che ci proverò, caro London Borough of Hackney, seminerò e curerò il tuo regalo.

Tua per sempre


Monica  

giovedì 7 maggio 2015

Dear David Cameron

You don't know me. We've never met.
I'm an immigrant, a European, or more specifically, one of the PIGS. Now, don't make that face, please, I know we're a real headache for you at the moment. But it's not my fault if your plans to cut immigration failed because you were watching the east and masses of us sneaked in from the south. We didn't plan it, I promise. We are the proof of your failure, but we honestly didn't do it on purpose.

I just wanted you to know that I understand. When immigration soars like this, it's always hard to adapt, things get a bit tense, fear and suspicion take hold. It's never easy. People worry. I know Nigel Farage is giving you a hard time, garnering support like he does, appealing to people's worst instincts rather than their sense of reason. He offers quick fixes to complex issues. Are things in a mess? Blame the immigrants! Let's take our country back, and to hang with Europe. It just fills our Union with foreigners who come here to steal our jobs! He has all the right rhetoric (reminds me of someone in Italy).
The difference is, David, that Nigel Farage is an "extremist", he can badmouth foreigns as much as he likes. You need to be a little more diplomatic.

So, you promised that if you are Prime Minister after the election, you'll negotiate to reform the European Union and Britain's relationship with it, starting with the issue of free movement. And if that doesn't work out, you're not ruling anything out. In that case, European citizens will be required to leave if they haven't found work within six months and they can only apply for welfare payments after living here for a minimum of four years.

Between you and me, that might sound good for the voters but are you sure you can afford it? Will it really deter European immigration?

Of course, there's no getting away from the fact that you have a great welfare system (compared to where I come from) that's sometimes exploited. But what's your quick fix? Cut benefits to immigrants! If they can't find a job, send them packing, we don't want scroungers here.
The painful but potentially more effective solution is: if it's scroungers you're after then maybe you should look closer to home. There are people already in the country who spend their lives on benefits, some even have children just to get a council house, choosing to live out their existences at the state's expense. You'll find far fewer amongst European immigrants, especially those from the southwest corner, most of whom come to Britain with one main goal in mind: to build a future.

I'm not just pretending to know about these things, I've studied the figures. A CReAM study showed that rather than draining Britain's finances, European migrants actually pay more in taxes than they receive in benefits. The co-author of the study also said that new migrants from western and southern Europe were exceptionally well qualified. To recreate the same level of "human capital" the UK would have had to spend £7 billion on education.”

So that's the point right there, dear David, we're capital (I think you'll like that word). We may be a problem but we're also an enormous resource, if you manage us properly.


I'll tell you a little bit about my own experience.  It might not be everyone's, but it'll help you to understand. I used to work, work, work, but it was impossible to earn enough to survive. What about state support, you say? Forget it, the state in my country seemed to be doing everything in its power to drag me even further down. 

Do you know what welfare I relied on? Where my benefits came from?

From my family. The people who kept a roof over my head for as long as they could then tried to be there for me whenever I needed help; my mother-in-law with bags of groceries, a neighbour who'd bring me fish, friends who'd repair my PC without charging me, you know, the kind that say, "don't worry about the money, my shout this time."
My welfare net, the only one that really works in Italy, was the family network I was born into and the network of relations I built for myself, of the meaningful, help each other out in a crisis kind, the human bonds that meant I've never felt alone. Do you really think I'd have left all that to live on your benefits?
What I was looking for was the chance of a future I can't have in Italy. Not benefits.

When I arrived, I didn't know anything about benefits. It was only when I tried to sign up for a free English course that I was told I could only take it if I was on them. That's how I ended up on the Jobseeker Allowance, the system that helped me to survive for a few months while I looked for work, took some courses and even got some glasses so I could read better. 

Dear David, I'm really grateful for everything I received but let me tell you, it certainly wasn't easy and it didn't make me feel good.
It felt like begging.
Appointments at the job centre were excruciating; not being able to bring my advisor good news was frustrating, I felt like I was being judged, I was inadequate, and forced to follow procedures that were rigid to the point of absurd.

I had my share of suprises along the way too: when I got my first interview I was sent to a shop where I could buy (with your government's money) some interview clothing. I felt like crying, I just wanted to hug my advisor the way I would've hugged my mum.
When I got my first job as a cleaner I said my farewells and thanked everyone.
I'll never be able to thank you enough for what you did for me but I sincerely hope I never have to set foot in a job centre ever again.

I'm self-employed now, and very proud of having submitted my first tax returns and made my first monthly national insurance payment. So, you can stop worrying David, your money was well spent.
My partner has been working for two years as well, his boss is happy to have found someone with his skills and such an enterprising spirit.
He pays national insurance too, and that's great, but what if he were to lose his job before the four years are up? Or if he can't find anything else quick enough? We would have to leave, wouldn't we, and that would make the whole investiment you made in me pointless, and my investment in you, when I brought what little savings I have to your country.

If you ask me, cutting benefits won't stop Italians from coming, because that's not what they're after.
If they just wanted to get by, they'd stay at home with mamma.
You need to target our other weaknesses, but without appearing to be against immigration. Maybe you could invent some new public order laws and use them to arrest or deport anyone who claps when their flight touches down on British soil. Or set new noise limits for loud voices in public places, then fine anyone who exceeds them; three fines tops and they're out.
Just wait and see how many Italians that gets rid of!

But, jokes aside, do you really want us to go? In other words, do you really not need us?

The International Business Times says you cannot do without immigration if you want a stronger economy. Immigration is the cheaper option given that birth rates are so low in the UK and the native population is getting older.  Immigrants are usually adults who come ready-educated and ready to work. There's no need  to invest in their education and training. It's like the full package turning up at your door, ready to fill skill gaps in the UK, set up businesses and create - not take - jobs.

So, you were just joking, weren't you? Go on, you can tell me, it was just bit of pre-electoral fun, wasn't it?
I realize uncontrolled immigration is dangerous and that you could end up with all sorts, rotten apples included, and they need to be stopped. But there has to be a better way.
Like tightening up the grey area, the time it takes for a foreigner to integrate, settle and look out for him or herself.
The money you want to save in benefits could be invested in creating more advisors in that amazing National Career Service you have that helps foreigners to understand the rules, to work out how the labour market works, how to write a good CV, and how to get on a career path.
Set up new English courses. I realize we should learn the language before we come but language really is what makes full integration so difficult so help people to learn it quicker. I know, I've been through it.

I can't emphasize it enough, David. If this country were to stop being the open nation you so proudly call it, what a great pity that would be. 

Yours sincerely,

Monica

(this is the English version of my previous post. Thanks indeed to Denise Muir for translation)

mercoledì 29 aprile 2015

Caro David Cameron

David-Cameron-Immigrant-speech-Portrait-monicauriemma
Non abbiamo il piacere di conoscerci,
sono un’immigrata, europea, precisamente PIGS*. Adesso non fare quella faccia, please, so che per te siamo un bel problema. Ma non è colpa mia se il tuo piano di taglio all’immigrazione è fallito perché ti preoccupavi degli extracomunitari e ti hanno invaso dall’Europa, guardavi ad est e siamo arrivati noi dal sud. Ti giuro che non ci siamo messi d’accordo. Siamo l’emblema della tua sconfitta, ma credimi, non l’abbiamo fatto apposta.

Volevo solo dirti che io ti capisco. L’aumento rapido dell’immigrazione porta sempre problemi di adattamento, tensioni, insomma non è semplice. La gente comincia ad essere preoccupata.

So che Farage dell’UKIP ti sta facendo venire la gastrite. Lui è bravo a prendere consensi parlando direttamente all’istinto, senza passare per il cervello; offre soluzioni elementari a problemi complessi. Le cose non vanno bene? Colpa degli immigrati! Riprendiamoci la nostra Patria, e fanc… a questa Europa che ci riempie di stranieri che ci rubano il lavoro! Un vero campione di retorica (mi ricorda qualcuno in Italia…). 
Solo che lui se lo può permettere, è “estremista”, tu devi avere un po’ più di aplomb.

Allora hai promesso che se ti rieleggono rinegozierai i termini dell’appartenenza all’Unione Europea cominciando dalla libertà di movimento. E se questo non sarà possibile, allora non escludi nulla. Poi i cittadini europei saranno espulsi se ancora disoccupati dopo sei mesi di permanenza e potranno chiedere i benefits (sussidi per la sopravvivenza) solo dopo aver vissuto, lavorato nel paese, e pagato tasse, per quattro anni. 
Detto tra noi, magari va bene per i tuoi elettori, ma sei sicuro di poterlo fare? E sei sicuro che funzioni da deterrente per tutti gli immigrati europei?

Premetto che voi avete un sistema di welfare invidiabile per alcuni aspetti (almeno rispetto a quello da dove provengo io) che però presenta dei problemi di “parassitismo”. 
La risposta elementare è: togliamo gli aiuti agli immigrati! Se non trovano lavoro tornino a casa loro, che di parassiti non ne vogliamo.
La risposta complessa, dolorosa, ma forse più esatta è: se cerchi parassiti forse ne troverai di più tra i tuoi concittadini inglesi che praticamente vivono una vita On Benefit, fanno figli per avere una casa popolare e si trascinano tutta l’esistenza così; molti di meno tra gli immigrati europei, specialmente da quelli del sud-ovest che vengono qui per uno scopo: costruirsi un futuro.

Non è che mi sia improvvisata esperta, è che ci sono varie ricerche, come questa del  CReAM riportata in un articolo del Guardian:  I migranti europei pagano molte più tasse di quanto ricevano in benefits. Quelli provenienti dall’ovest e dal sud dell’Europa in particolare, hanno un’istruzione più alta della media dei nativi, e l’UK dovrebbe spendere miliardi in istruzione per arrivare allo stesso livello di “capitale umano”
È questa la chiave, caro David, siamo capitale (una parola che deve piacerti, lo so). Un problema, ma anche un’enorme risorsa, se riesci a gestirla.

Ti porto la mia esperienza, che certo non vale per tutti, solo per aiutarti a capire. Nel mio paese lavoravo come un mulo senza guadagnare abbastanza per sopravvivere. Aiuti statali? Lo stato sembrava mettercela tutta per affossarmi ulteriormente. 
Sai quali erano i miei Ammortizzatori Sociali, i miei Benefit? 
La famiglia, che mi ha dato un tetto sulla testa finché ha potuto e dopo c’è sempre stata in caso di bisogno; la suocera che si presentava con la spesa fatta per me; il vicino che mi regalava il pesce fresco; gli amici che mi riparavano gratis il computer; quelli che: non ti preoccupare per i soldi, ci penso io
Il mio welfare, l’unico che funzioni veramente in Italia, era il tessuto affettivo in cui ero nata e che mi ero costruita, le relazioni profonde di mutuo soccorso, i legami veri grazie ai quali non mi sono mai sentita sola… Credi davvero che avrei lasciato tutto questo per sopravvivere di sussidi? 
Quello che io cercavo venendo qui era progettare un futuro impossibile in Italia. Non i benefit.

Quando sono arrivata qui, dei sussidi non sapevo niente. Cercando un corso gratuito d’inglese ho scoperto che potevo farlo solo se ero “On Benefit”. È così che sono entrata nel Jobseeker Allowance, il sistema che per qualche mese mi ha consentito di fare la spesa senza affanno mentre cercavo lavoro, frequentare il corso e perfino prendere gli occhiali per vedere alla lavagna.

Caro David, io ti sono molto grata per questi mesi, ma ti dico che non sono stati facili, ho provato molto disagio. 
Perché a me sembrava di chiedere la carità. 
Gli incontri al Job Centre erano una piccola tortura, non riuscire a portare buone notizie alla mia advisor era frustrante, mi sentivo giudicata, inadeguata, ero costretta a seguire procedure rigide e a volte assurde. 
Certo non sono mancate le belle sorprese:  quando ottenni la prima interview mi fu indicato un negozio dove acquistare (a spese dello stato!) un abito formale adatto. Volevo piangere credimi, volevo abbracciare l’advisor come fosse stata mammà.  
Appena trovato il primo lavoro come cleaner salutai e ringraziai tutti. 
Ti sono infinitamente grata ma spero di non dover mai più rimettere piede in un Job Centre.

Ora sono una self-employed molto fiera di aver fatto la mia prima dichiarazione dei redditi, pago il mio bel contributo mensile al tuo welfare, insomma, stai tranquillo, quei mesi sono stati ben spesi. 
Il mio compagno lavora, da due anni, il suo capo è felice di aver trovato uno con il suo spirito d’iniziativa e le sue qualità. 
Anche dalla sua busta paga c’è una trattenuta per il welfare, il ché va benissimo, ma se dovesse perdere il lavoro per qualche motivo prima di quattro anni? E se non riuscisse a trovare niente velocemente? 
Pensa se fossimo costretti ad andar via. Allora sì che l’investimento che tu hai fatto su di me, e che io ho fatto su di te, portando i miei pochi risparmi qui, sarebbe stato inutile.

Secondo me togliere i benefit non scoraggerà gli italiani che vogliono partire, perché non mirano a quello. Se volessero arrangiarsi starebbero ancora a casa di mammà. 
Devi trovare altre strade che colpiscano i nostri punti deboli senza sembrare contro l’immigrazione. Inventati nuove leggi sulla quiete pubblica che puniscano con l’arresto o il rimpatrio chiunque applauda all’atterraggio dell’aereo su suolo britannico. Oppure metti un limite di decibel al volume della voce nei luoghi pubblici, multe a chi lo supera e dopo tre volte espulsione. 
Vedrai quanti italiani eliminati!

Ma, seriamente: vuoi davvero che sgombriamo? Cioè, davvero non ti serviamo?

Il quotidiano economico International Business Times dice che tu vuoi un’economia più forte ma non puoi averla senza immigrati, e secondo lui tu lo sai perfettamente
Dice che l’immigrazione è il mezzo più semplice e a buon mercato per far crescere la tua economia. Perché il tasso di natalità è basso e la popolazione nativa sta invecchiando. 
Perché gli immigrati sono in genere adulti che arrivano istruiti, qualificati e pronti a lavorare, così non devi investire in istruzione e formazione. 
Sono una sorta di “pacchetto completo” che ti si presenta alla porta, pronto a riempire le molte lacune di tua competenza (come il buco nell’NHS), dar vita a nuove imprese e creare - non prendere - posti di lavoro.

Allora stavi scherzando? Dai, a me puoi dirlo, è un diversivo pre-elettorale?

So che il flusso incontrollato è pericoloso, so che ti può arrivare di tutto, mele marce comprese, e quelle vanno fermate.  
Ma ci dev’essere una strada migliore per tutti. 
Per esempio diminuire la “zona grigia”, il tempo di ambientamento , in cui l’immigrato ancora non si è integrato. 
I soldi che vuoi risparmiare in benefit, investili nel potenziare il sistema di advisor del fantastico National Career Service, che mette in condizioni uno straniero di comprendere da vicino le regole e il mercato del lavoro, di compilare un buon CV, di capire quale strada scegliere. 
Aumenta i corsi d’inglese, perché lo so che uno dovrebbe impararlo prima, ma la maggiore difficoltà di integrazione parte dalla comunicazione. Io lo so, ci sono passata...

Te lo dico col cuore, se questo paese non fosse più un’ “Open Country”, come una volta hai detto, sarebbe un peccato.


Yours sincerely,

Monica


*Portoghesi, Italiani, Greci e Spagnoli; simpatico acronimo coniato dal quotidiano Sun

Qui ci sono articoli interessanti sulla questione:
Repubblica.it
Qui il discorso completo di Cameron: bbc.co.uk

Rap di CassetteBoy creato dai discorsi di Cameron, Farage & Co, geniale...

giovedì 23 aprile 2015

Shelley The Blacksmith

London Museum of Water & Steam, il Museo del Vapore, una ex stazione di pompaggio dell’800, a Kew Bridge
Sono all’esterno della struttura e già mi pregusto le foto che farò. 
Datemi ingranaggi, ruote dentate, tubi, manometri, possibilmente vecchi, e mi fate felice. Preciso che non capisco nulla di tecnologia, nemmeno della più elementare, ma non importa. Non mi interessa il processo, i risultati, non il funzionamento del meccanismo ma la sua forma.

Devo aver avuto una specie di imprinting quando ero piccola. Mio padre era progettista meccanico e in alcuni periodi lavorava fino a tarda sera nella stanza dove dormivo insieme ai miei fratelli. Non c’erano i pc allora (ebbene sì, signori, c’è stato un tempo in cui le cose si facevano senza pc o smartphone…), ma un enorme tecnigrafo sul quale erano incollati strati e strati di fogli lucidi disegnati a matita. 
Un universo di linee tratteggiate, frecce, quote, sezioni di pezzi meccanici. 
I fogli si spostavano e i pezzi combaciavano, ruotavano, si incastravano l’uno nell’altro. Era uno spettacolo bellissimo. Mai più dimenticato.


Ma sto divagando. Dunque sono al museo, le persone che mi accompagnano devono incontrare una dei vari artisti che ha lo studio all’esterno della struttura. Di lei non so nulla, se non che si chiama Shelley.
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Ed ecco che da una porta buia in una parete di mattoncini sbuca una figura imponente in gilet di pelle e scarpe antinfortunistiche. 
Molto più alta di me (ma per questo ci vuole poco…), capelli bianchi con una sfumatura bionda alle punte, raccolti in una coda, sguardo penetrante, azzurro, vivacissimo, bel sorriso da cui spuntano denti d’oro, mani nodose. 
Non mi stupirei se avesse una benda sull’occhio e una pistola al cinturone.

Il maglione che porta sotto il gilet è bucato vicino alle maniche. 
Sono le scintille. 
Shelley Thomas è una Blacksmith, una donna fabbro, ella domina il fuoco, usa la forza, una tecnica millenaria, piega i metalli al suo volere per creare grandi cancellate o piccolissimi monili. 
E questo è un personaggio! Mi serve! comincio a pensare…

I miei amici parlano con lei di workshop sui gioielli, io li ascolto appena, resto col mezzo sorriso ebete e lo sguardo fisso su di lei a cercare di imprimere nella memoria i particolari, gli anelli alle dita, una strana spilla appuntata al gilet, probabilmente una sua creazione… non dico una parola, ho una sola domanda come un mantra in testa: “Can I take a picture? Can I take a picture? Can I take a picture?...”, posso fare una foto? Non ho il coraggio, non ci conosciamo, mi prenderà per matta (e non sbaglierebbe di molto). 

Ci salutiamo e io faccio i miei scatti al museo ma una volta a casa corro a cercarla sul web. 
Soprattutto trovo l’elemento mancante per il disegno che ho in mente, il super-tecnologico casco protettivo che usa per lavorare, in una bella foto sul suo sito.

Ecco qua, glielo piazzo in testa. Shelley The Blacksmith è completa.

Qui potete trovare il suo sito e la sua paginafacebook.

mercoledì 1 aprile 2015

Italians Vs Italians

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Bozza cover per un progetto sull'Inno d'Italia, Paramica Edizioni, mai pubblicato - 
Una sorta di schizofrenia coglie gli emigranti italiani delle ultime generazioni. 
“Non andare a lavorare con gli italiani, ti sfruttano e ti trattano male”
“Che fastidio a Portobello, sentivo parlare solo italiano!”. 
“Non mi piace quel posto, è pieno d’italiani.” 
E, scusa, noi cosa siamo??? 
A volte cado anch’io in questa trappola, se sento parlare italiano nella tube (talvolta così ad alta voce che non posso far a meno di sentire, sigh), provo un senso di fastidio. Stento a riconoscermi nei miei simili.
È come se dicessi: Io?! Io no! Mica sono come loro? Sono integrata io, vivo qui, mi tengo sulla destra quando sto sulla scala mobile io, che credete?!

Certo, le faccende politiche degli ultimi anni hanno contribuito non poco a farci sentire lo zimbello d’Europa e del mondo, il marchio di mafiosi e corrotti è uno stereotipo pesante da sopportate ed è vero: siamo piuttosto chiassosi, gesticoliamo, siamo invadenti… ma c’è un problema più profondo alla base. La mancanza di un senso di appartenenza, coesione, patria (se vogliamo usare questo termine), lo so che la nostra storia non ci ha aiutato affatto a sentirci Paese, ma non voglio passare la vita a dissimulare, far dimenticare ciò che fa parte di me, insomma mi fa tristezza pensare: sono italiana ma non tanto.

Mi spiegavano che qui non c’è qualcosa come la Little Italy americana, non c’è una comunità forte che ha colonizzato interi distretti, a differenza di molti altri gruppi. 
Forse neanche la vorrei, in fondo sono andata via anche per scrollarmi di dosso certi meccanismi che ci appartengono culturalmente e non vorrei ritrovarne la fotocopia londinese.

Eppure dagli italiani che ho conosciuto qui ho avuto favori, aiuto e gentilezze disinteressate. 
Ho passato ore al telefono a farmi spiegare come funzionano le cose, ho ricevuto calore e supporto, ed ho cercato di darne ad amici e conoscenti che arrivavano qui dopo di me. 
Perché è così che si fa.

Perché quando uno arriva qui è solo e smarrito e un po’ di calore umano aiuta a superare le difficoltà.

Forse come popolo abbiamo qualche problema, ma presi uno ad uno siamo proprio brave persone. 

mercoledì 25 marzo 2015

Corri Malik, Corri

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La mia ultima fatica libresca per l’Italia è in uscita in questi giorni, ma non la trovate in libreria, dovete andare al Supermercato…

Partiamo dall’inizio: nei mesi scorsi il concorso Scrittori diClasse, progetto Conad, ha coinvolto decine di migliaia di scuole da tutta Italia con la partecipazione di autori del calibro di Roberto Piumini, Vanna Cercenà, Silvana De Mari, Manuela Salvi, Guido Sgardoli, Luigi Garlando, Beatrice Masini e Tim Bruno (trovate i loro profili qui). 

Gli otto libri. 
Per le classi si trattava di partire dagli incipit degli autori e creare una storia, I ragazzi hanno lavorato in maniera corale, sono entrati nei meccanismi della narrazione, hanno letto e valutato i racconti degli altri, incontrato scrittori veri. 
C’è un marchio commerciale dietro, ma non storcete il naso, promuovere la cultura e la formazione a me sembra sempre cosa buona e giusta. Inutile dire che in UK aziende pubbliche e private organizzano concorsi artistici e letterari come se piovesse (e qui piove, giuro…).

Sono nati così otto libri, illustrati da: Katia Belsito, Erika De Pieri, Antongionata Ferrari, Roberto Lauciello, Cecco Mariniello, Manuela Orciari, Claudio Prati e la sottoscritta


Il mio lavoro era tassativamente concentrato tra il 16 Dicembre e il 15 Gennaio. Non un minuto prima, dato che bisognava decretare i vincitori e imbastire il racconto finale, e non un minuto dopo, per i tempi tecnici di stampa e distribuzione. In quel mese il libro doveva essere elaborato, illustrato, “copertinato”, in contemporanea, tra scrittore e illustratore. 

Nei giorni precedenti mi preparavo al ritiro lanciando proclami apocalittici: Per un mese non ci sentiremo! Non potrò uscire! Non ci sono per nessuno! Tra un boccone di panettone e uno di pudding (per onorare patria di provenienza e patria d’adozione), trascorrevo le mie feste natalizie nell’ “antro oscuro” a disegnare.

Con i colleghi ci scambiavamo mail notturne del tipo:
- Io ho appena finito, tu a che punto sei? - A me manca ancora una nottata!
- Il racconto come procede? - Sono in alto mare! Comunque Buon Anno!

Le mail con la prode Manuela Salvi che faceva da coordinamento, spesso avevano come oggetto: “sono viva”, iniziavano con: “scusa l’invio notturno” oppure “se vedete del non-finito non è una distrazione, sarebbe voluto, se vi fa vomitare, just let me know” e si concludevano con “zzzz…” o "daidaidai..." da parte di entrambe
Insomma, ordinaria amministrazione artistico-letteraria.

Il racconto che ho illustrato, per le scuole medie, è quello di Luigi Garlando, elaborato su una storia della 2E, Scuola Piero Vannucci (Perugia):  “Corri, Malik, corri”, parla di un ragazzino africano adottato in Italia con la passione per la corsa. 
Queste sono alcune tavole. 

I protagonisti:

Malik, è alle prese con la responsabilità delle proprie scelte, oltre i turbamenti d’amore/amicizia. 
Ha l’età in cui si comincia a crearsi un “look” e io volevo un tratto distintivo, frutto di una sua scelta, mi sembrava una buona idea fargli le treccine (sono letteralmente affascinata dagli innumerevoli modi di annodare, intrecciare, acconciare i capelli afro), me ne sono pentita appena capito che dipingere treccine una ad una per dieci volte poteva essere alienante, ma era troppo tardi, la prossima volta un bel taglio a zero, eh?

Rosalba (capello rosso fuoco e abiti punk-dark per espressa richiesta della classe vincitrice), è una graffitara. Io adoro i graffiti e tutta la Street Art, qui a Londra poi sono letteralmente circondata. Confesso che essere “Writer” mi sarebbe piaciuto, ma ahimè, avrebbe richiesto velocità di esecuzione, sprezzo del pericolo e soprattutto andare in giro di notte, tutte cose che NON fanno per me. Mi sono tuffata nelle mie foto ai muri londinesi e in un’abbondante ricerca sui graffiti di Milano, città dov’è ambientata la storia, per inventare una specie di Rosalba’style: spirali coloratissime e piccoli personaggi strani.




Non mi piace che i miei lavori sembrino tutti uguali. 
A volte non ho abbastanza tempo o libertà di scelta (spesso mi accade con i lavori di scolastica inglese) e sono costretta ad affidarmi al mestiere, ripercorro strade già fatte, veloci, ma combatto sempre per fare un passetto in più, un piccolo esperimento, in ogni lavoro.  
Qualche volta ci riesco, altre no, ma conservo l’esperienza per l’occasione successiva, se finisce la ricerca sei morto.  
Ovviamente niente di eclatante, magari il pubblico non se ne accorge, e poi io resto sempre io.

Siccome ho una certa tendenza a diventare leziosa, a fare il disegno “perfettino”, con tutte le cose al posto giusto, ho tentato di rompere il mio schema. 
Riempivo tutto e poi cancellavo, o mi fermavo un attimo prima di finire, eliminavo del disegno per far “respirare” il colore. 
Magari il risultato è ibrido, adesso è troppo presto per giudicare, mi sembra tutto bello, me ne renderò conto col tempo, ma comunque mi sono divertita. 
Sia benedetta la “macchina infernale” (il computer) che mi fa lavorare su livelli diversi come su fogli sovrapposti, uno per il disegno, uno per ogni texture, e mi permette di verificare in corso d’opera se l’idea che sto seguendo è interessante o meno, così posso rifare lo stesso pezzo più volte senza perdere i tentativi precedenti. 




Alla tavola finale tengo molto. Io tutt’altro che sportiva, mi sono appassionata alla corsa alla mia tenera età, per seguire le manie inglesi, (salvo poi stare ferma per mesi causa fascite plantare) e ho provato personalmente l’ebbrezza di superare un limite apparentemente impossibile, che è quella che riesce a provare Malik. Una volta ho alzato le braccia al cielo e mi sono commossa, anche se avevo corso solo per venticinque minuti di fila (ne ho parlato qui), perciò, signori, in questa tavola Malik sono io!

Per alcuni racconti, soprattutto per target d’età più alta, preferisco usare modelli reali (come per l’Aida). Stavolta ho torturato per benino tre ragazzi che ringrazio di cuore: Imma Esposito, Matteo e Paolo Riccardi.  

E adesso che aspettate, andate a fare la spesa, su! ;)