mercoledì 25 marzo 2015

Corri Malik, Corri

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La mia ultima fatica libresca per l’Italia è in uscita in questi giorni, ma non la trovate in libreria, dovete andare al Supermercato…

Partiamo dall’inizio: nei mesi scorsi il concorso Scrittori diClasse, progetto Conad, ha coinvolto decine di migliaia di scuole da tutta Italia con la partecipazione di autori del calibro di Roberto Piumini, Vanna Cercenà, Silvana De Mari, Manuela Salvi, Guido Sgardoli, Luigi Garlando, Beatrice Masini e Tim Bruno (trovate i loro profili qui). 

Gli otto libri. 
Per le classi si trattava di partire dagli incipit degli autori e creare una storia, I ragazzi hanno lavorato in maniera corale, sono entrati nei meccanismi della narrazione, hanno letto e valutato i racconti degli altri, incontrato scrittori veri. 
C’è un marchio commerciale dietro, ma non storcete il naso, promuovere la cultura e la formazione a me sembra sempre cosa buona e giusta. Inutile dire che in UK aziende pubbliche e private organizzano concorsi artistici e letterari come se piovesse (e qui piove, giuro…).

Sono nati così otto libri, illustrati da: Katia Belsito, Erika De Pieri, Antongionata Ferrari, Roberto Lauciello, Cecco Mariniello, Manuela Orciari, Claudio Prati e la sottoscritta


Il mio lavoro era tassativamente concentrato tra il 16 Dicembre e il 15 Gennaio. Non un minuto prima, dato che bisognava decretare i vincitori e imbastire il racconto finale, e non un minuto dopo, per i tempi tecnici di stampa e distribuzione. In quel mese il libro doveva essere elaborato, illustrato, “copertinato”, in contemporanea, tra scrittore e illustratore. 

Nei giorni precedenti mi preparavo al ritiro lanciando proclami apocalittici: Per un mese non ci sentiremo! Non potrò uscire! Non ci sono per nessuno! Tra un boccone di panettone e uno di pudding (per onorare patria di provenienza e patria d’adozione), trascorrevo le mie feste natalizie nell’ “antro oscuro” a disegnare.

Con i colleghi ci scambiavamo mail notturne del tipo:
- Io ho appena finito, tu a che punto sei? - A me manca ancora una nottata!
- Il racconto come procede? - Sono in alto mare! Comunque Buon Anno!

Le mail con la prode Manuela Salvi che faceva da coordinamento, spesso avevano come oggetto: “sono viva”, iniziavano con: “scusa l’invio notturno” oppure “se vedete del non-finito non è una distrazione, sarebbe voluto, se vi fa vomitare, just let me know” e si concludevano con “zzzz…” o "daidaidai..." da parte di entrambe
Insomma, ordinaria amministrazione artistico-letteraria.

Il racconto che ho illustrato, per le scuole medie, è quello di Luigi Garlando, elaborato su una storia della 2E, Scuola Piero Vannucci (Perugia):  “Corri, Malik, corri”, parla di un ragazzino africano adottato in Italia con la passione per la corsa. 
Queste sono alcune tavole. 

I protagonisti:

Malik, è alle prese con la responsabilità delle proprie scelte, oltre i turbamenti d’amore/amicizia. 
Ha l’età in cui si comincia a crearsi un “look” e io volevo un tratto distintivo, frutto di una sua scelta, mi sembrava una buona idea fargli le treccine (sono letteralmente affascinata dagli innumerevoli modi di annodare, intrecciare, acconciare i capelli afro), me ne sono pentita appena capito che dipingere treccine una ad una per dieci volte poteva essere alienante, ma era troppo tardi, la prossima volta un bel taglio a zero, eh?

Rosalba (capello rosso fuoco e abiti punk-dark per espressa richiesta della classe vincitrice), è una graffitara. Io adoro i graffiti e tutta la Street Art, qui a Londra poi sono letteralmente circondata. Confesso che essere “Writer” mi sarebbe piaciuto, ma ahimè, avrebbe richiesto velocità di esecuzione, sprezzo del pericolo e soprattutto andare in giro di notte, tutte cose che NON fanno per me. Mi sono tuffata nelle mie foto ai muri londinesi e in un’abbondante ricerca sui graffiti di Milano, città dov’è ambientata la storia, per inventare una specie di Rosalba’style: spirali coloratissime e piccoli personaggi strani.




Non mi piace che i miei lavori sembrino tutti uguali. 
A volte non ho abbastanza tempo o libertà di scelta (spesso mi accade con i lavori di scolastica inglese) e sono costretta ad affidarmi al mestiere, ripercorro strade già fatte, veloci, ma combatto sempre per fare un passetto in più, un piccolo esperimento, in ogni lavoro.  
Qualche volta ci riesco, altre no, ma conservo l’esperienza per l’occasione successiva, se finisce la ricerca sei morto.  
Ovviamente niente di eclatante, magari il pubblico non se ne accorge, e poi io resto sempre io.

Siccome ho una certa tendenza a diventare leziosa, a fare il disegno “perfettino”, con tutte le cose al posto giusto, ho tentato di rompere il mio schema. 
Riempivo tutto e poi cancellavo, o mi fermavo un attimo prima di finire, eliminavo del disegno per far “respirare” il colore. 
Magari il risultato è ibrido, adesso è troppo presto per giudicare, mi sembra tutto bello, me ne renderò conto col tempo, ma comunque mi sono divertita. 
Sia benedetta la “macchina infernale” (il computer) che mi fa lavorare su livelli diversi come su fogli sovrapposti, uno per il disegno, uno per ogni texture, e mi permette di verificare in corso d’opera se l’idea che sto seguendo è interessante o meno, così posso rifare lo stesso pezzo più volte senza perdere i tentativi precedenti. 




Alla tavola finale tengo molto. Io tutt’altro che sportiva, mi sono appassionata alla corsa alla mia tenera età, per seguire le manie inglesi, (salvo poi stare ferma per mesi causa fascite plantare) e ho provato personalmente l’ebbrezza di superare un limite apparentemente impossibile, che è quella che riesce a provare Malik. Una volta ho alzato le braccia al cielo e mi sono commossa, anche se avevo corso solo per venticinque minuti di fila (ne ho parlato qui), perciò, signori, in questa tavola Malik sono io!

Per alcuni racconti, soprattutto per target d’età più alta, preferisco usare modelli reali (come per l’Aida). Stavolta ho torturato per benino tre ragazzi che ringrazio di cuore: Imma Esposito, Matteo e Paolo Riccardi.  

E adesso che aspettate, andate a fare la spesa, su! ;)



mercoledì 18 marzo 2015

Missing Letters

le-contrazioni-nella-lingua-inglese-monicauriemma

Da molto tempo indago su alcune sparizioni.
Si tratta di lettere dell’alfabeto.
Non c’è molto da ridere, credetemi, la faccenda è seria, e molto più grande di quello che sembra.
Deve trattarsi di una ruggine antica, tra gli inglesi e l’alfabeto scritto, uno di quei rancori che ti porti dietro da secoli, come i greci e i turchi. Non si sa chi abbia cominciato prima, quello che è certo è che le lettere subiscono contrazioni, fusioni, torture di vario genere, fino a sparire nel nulla…

I primi indizi li trovi nella passione smodata per acronimi ed abbreviazioni. Non si tratta solo delle sigle di partiti ed istituzioni. Qua si contrae tutto quello che si può. Con due parole hai già una potenziale sigla.
Il tecnico del gas mi ha scritto che mancava il FSD (Flame Supervision Device) la mia faccia smarrita non gli ha fatto pietà, me lo sono dovuto andare a cercare su internet che diavolo fosse questo fsd.*
Nelle mail, per dirti il prima possibile (As Soon As Possible) scrivono ASAP, “ci sentiamo asap, ti scrivo asap, consegna asap” (I beg your pardon? Modo elegante per: che cavolo dici?), gli appuntamenti a volte sono TBC, che non è la tubercolosi ma vuol dire To Be Confirmed.


I mestieri sono tutti siglabili: annunci di lavoro cercano UX / UI Designer (User Experience / User Interfaces, e anche così ne so poco più di prima); per lavorare con i bambini ti chiedono il DBS (prima ti chiedevano il CRB, tanto per confondere un po’ le acque), che sta per Disclosure and Barring Service, una specie di controllo della fedina penale, per mostrare che non hai commesso reati.

Le specializzazioni arrivano a livelli di astrazione pura. Sul pieghevole del centro medico c’è scritto che il mio dottore (che mica puoi chiamarlo medico? Chiamalo GP, General Pratictioner),  è specializzato in “M.B.B.S. D.R.C.O.G, D. C. H., D.F.F.P, M.R.C.G.P.” Una specie di enorme codice fiscale con punteggiatura, un linguaggio segreto? Un messaggio criptato? 

Forse è una questione di risparmio: di voce, di tempo, di caratteri… ma spiegatemi come diavolo fate a ricordarvi tutti questi acronimi? Fate corsi di “acronimìa”?


Quando anche la parola è scritta per esteso la mortificazione continua, lettere che esistono sulla carta vengono puntualmente ignorate, troncate, ingoiate, arrotolate nella pronuncia .

Le R sono forse le più maltrattate, dovunque si trovino nella parola, ma soprattutto alla fine. Come se non ci fossero: MIRROR, MIVVAa ( con la A un po’ lunga, e mi raccomando, arrotolate le R centrali se no sono guai)
Se la giocano alla pari con le E. ONE MORE TIME… Le E finali? Spariscono senza lasciare traccia. 
LITERATURE suona più o meno LI-TSCIÀ-TSCIÀ. TEMPERATURE: TEMPRE-TSCIÀ. La E centrale? Scomparsa, e TURE diventa il verso di una cornacchia.
Nomi di località impietosamente amputati, come BICESTER. Ero lì alla stazione che mi arrovellavo per capire se era più giusto BÀICESTAa, BÌSESTAa, BISÈSTAa  e l’annuncio sonoro mi gela: “The train for BISTAa...
BISTAa?! Ma questa è mezza parola! Mezza!
E così, pare, tutti i nomi che finiscono per CESTER. LEICESTER? LESTAa. Taglio netto, lettere dimezzate. Nell’indifferenza generale.

Mi dico: allora perché le scrivete?! Perché dar loro l’illusione di un’esistenza che poi negate con la voce? E’ una crudeltà e voi lo sapete. In nome di non so quale tipo di velocità di espressione avete creato un divario enorme tra la presenza delle lettere scritte e il loro valore effettivo, la loro dignità di esistere in quanto pronunciate. La loro è una vita metà, in sospeso, e nessuno sa dove vadano a finire.
Pronunciatele degnamente o tagliatele alla base, la loro sofferenza sarà minore e tutti ce ne faremo una ragione (soprattutto noi stranieri…).

Comincio a rivalutare la mia lingua scritta, sapete? E se uno comincia a rivalutare l’italiano vuol dire che c’è qualche problema. Una lingua che usa duecento parole per una frase, che ha congiuntivi e condizionali da emicrania, verbi irregolari, maschili, femminili, plurali tutti diversi, frasi piene di incidentali, termini obsoleti, non dovrebbe essere simpatica a nessuno, eppure ci sono dei pregi. 
Innanzitutto l’alfabeto è più corto (e a questo proposito mi chiedo perché usare più lettere se poi non le pronunciate), le lettere sono rispettate (tranne la povera H…) dallo scritto all’orale, pronunciate quasi sempre allo stesso modo, con regole precise e soprattutto: o ci sono oppure no
Questo è il punto, niente imbrogli, è tutto chiaro.
(So che da napoletana dovrei tacere, cambio gli accenti, tronco le finali, ma qui si tratta della lingua nazionale...) 

La cosa inquietante è che con l’inglese quando credi di aver capito il trucco, di aver trovato una regola, una logica seppure aberrante a questo massacro, ecco che scopri nuove scomparse, di lettere insospettabili. E non trovi giustificazione nemmeno nel criterio del risparmio.

Mi spiego, se io chiedo a qualcuno: “Posso fare questa cosa?” E la sua buona educazione gli impone di dirmi: OF COURSE YOU CAN (quando potrebbe benissimo dire solo OK), frase composta da 14 lettere più spazi, capita che gli senta dire COSCIUCAa. Una contrazione magari incomprensibile ma che gli permette di risparmiare ben 6 lettere da pronunciare e più o meno 5 millesimi di secondo. Posso inorridire, ma capisco il perchè. 

Quello che non capisco è quando se la prendono con la T. 
Una volta mi è stato detto: You are an AR-IST… al posto della T c’era un intervallo, una deglutizione, un buco nero… Una lettera massacrata senza criterio,  nessun risparmio di tempo, non ha senso. 
O forse sì, mi sorge un atroce dubbio, che tutte queste lettere siano in realtà mangiate, ingoiate, buttate giù in una sorta di “letterofagia”, di bisogno di inghiottire il suono… è terribile.
Più di una persona ha nominato il famoso maghetto: HARRY PO-Aa. Beh, io li ho visti i film in inglese, e la T c’era! Magari non due, forse una, ma c’era!!! Non pretendo che diciate POTTER ma almeno POTAa!
Era un accento locale, o forse l’indizio di un’ennesima orda di famelici delle consonanti? Sono solo supposizioni, quel che è certo è che una lettera alla volta finiremo con l’emettere solo suoni gutturali (come mi sembra già di sentire da alcuni londinesi doc).

Non c’è nessuno che si occupi del problema di queste sparizioni? Un’associazione, che so, una charity per la preservazione della specie, la difesa delle lettere perdute?
Fonderò l’ ADML: Association in Defence of  Missing Letters, se usiamo l’acronimo partiamo col piede giusto…


* esiste un sito utilissimo abbreviations.com che consulto quotidianamente, ma in questo caso purtroppo non lo sapeva nemmeno lui…