mercoledì 22 ottobre 2014

C’era Una Volta Un Re…

C’era una volta un re che un migliaio di anni fa regnò meno di un anno, durante il quale non fece altro che correre da una parte all’altra per difendersi da invasori, finché non morì con una freccia infilata in un occhio. 
Forse se fosse stato italiano sarebbe solo un nome nei libri di storia, qui gli dedicano attenzione, dibattiti, celebrazioni. 
Perché questo è il Paese delle Rievocazioni: una tenace passione per la memoria che non posso non ammirare visto che vengo dal Paese dell’Oblìo.
E dunque anche un re un pochino “sfigato” come Harold II d’Inghilterra (1022-1066) ha fans sparsi per il mondo, gruppi di estimatori, libri dedicati e comitati come quello che l’ 11 Ottobre, a Waltham Abbey, cittadina dell’Essex, ha celebrato, come ogni anno, il King Harold Day, un festival in memoria del re, con danze, musiche, giochi e accampamenti medievali.

Ci sono stata e mi sono molto divertita, ho visto suonatrici di ghironda e pipes, arcieri e cavalieri, guerrieri che mi hanno fatto portare la loro spada, impavide falconiere, e volti antichi che non dimentico. Queste sono alcune foto.

La storia di Harold mi ha colpita, se avete pazienza vorrei raccontarvela (a modo mio, ovviamente).

Harold, Conte di Wessex, era cognato del Re d’Inghilterra Edoardo il Confessore (perché Confessore non lo so, ma che pretendete? I documentari sono in inglese, non è che capisca tutto…) il quale non aveva figli e quindi niente eredi diretti al trono. Come un anziano zio ricco circondato da parenti ossequiosi che ambiscono all’eredità, Edoardo doveva essere assediato a corte da possibili pretendenti (c’era in ballo un trono, mica un frutteto in campagna!)  e secondo me se la godeva promettendo più o meno velatamente la successione ora all’uno ora all’altro.

Uno che alla promessa ci aveva creduto era Guglielmo di Normandia (conosciuto prima come Gugliemo il Bastardo, poi Guglielmo il Conquistatore, un bel salto di qualità nel soprannome), ed era tanto convinto che per evitare rivali un bel giorno aveva ordinato cavaliere proprio il nostro Harold (che su quel trono ci aveva fatto più di un pensierino), facendosi promettere solennemente fedeltà e appoggio alla futura candidatura. Harold aveva promesso, pare (tenendo le dita incrociate dietro la schiena).

Poi il re si ammalò rimanendo parecchio tempo senza conoscenza. E qui arriva il primo colpo di scena: poche ore prima di morire Edoardo si risveglia e nomina Harold suo erede (le cronache non sono concordi, ma in questa storia non sono concordi su niente). Il Wiltan, l’assemblea di nobili del regno,si riunisce per prendere una decisione e il 6 gennaio 1066 incorona Harold II Re d’Inghilterra. Immaginate la faccia di Guglielmo.

Dunque il nostro Harold diventa Re: cerimonia di rito, saluti e baci, visita agli appartamenti, come mi sta la corona? Dovrò far ritappezzare il trono…  Ha appena il tempo di sistemarsi che gli arriva la notizia: Guglielmo gli ha dichiarato guerra per aver usurpato il trono e rotto il patto di alleanza, e sta cominciando a radunare le truppe nel nord della Francia.
Harold non ne avrebbe molta voglia, ma raduna un esercito e lo aspetta nel sud dell’Inghilterra. Passano molti mesi, e forse a causa dei venti sfavorevoli, l’attacco non arriva. 
Finite le provviste, l’8 settembre il nostro re deve sciogliere le truppe (ragazzi, abbiate pazienza, abbiamo scherzato…) e tornarsene a Londra
Si toglie l’armatura, si mette in vestaglia e pantofole e sta per sprofondare nel suo trono col telecomando in mano che arriva un’altra notizia: Harald III di Norvegia (Harold, Harald…eh, lo so…) gli ha dichiarato guerra affermando di essere il legittimo erede al trono (un altro?!) per un antico patto che avevano stretto suo nonno e il nonno di Edoardo. 
Sì, ora tirate fuori i nonni, ma non vi pare di stare esagerando?

Rimettiamoci le scarpe e andiamo a radunare un esercito. Chi vuole venire con me? Un coro di: Buuu, buuu… comunque per strada qualcuno riesce a raggranellarlo. 
Il 24 settembre i due eserciti si scontrano a York, vittoria schiacciante di Harold. 
Harald di Norvegia muore in battaglia. 
Bene, fuori uno: sciogliamo le truppe e rientriamo a casa. Ma neanche a pensarci! Nuova notizia: Il 27 settembre Guglielmo è sbarcato ad Hastings e conquistato la cittadina. 
Ragazzi… ehm… ci sarebbe una nuova battaglia, chi si offre volontario? Le cronache non riportano le risposte ma potete immaginarle.  Dai su, un piccolo sforzo, reclutiamo tutti, anche quelli un po’ scarsini, insomma, facciamo numero. 
E sbrighiamoci che Guglielmo avanza
.
È così che il 14 ottobre 1066 si combatte una delle più famose battaglie medievali, quella di Hastings, riportata come su un lunghissimo, meraviglioso fumetto, nel celebre Arazzo di Bayeux.

In campo abbiamo: da una parte l’esercito sassone guidato dal nostro Harold, formato essenzialmente dal popolo, non perfettamente armato, e un tantino stanco per la lunga marcia, tutti fanti, riconoscibile dall’aria del “chi me l’ha fatto fare”. 
Dall’altra l’esercito francese di Guglielmo, formato dal popolo e dalla nobiltà: arcieri in prima fila, poi fanti e infine …tadaan! La cavalleria pesante! Riconoscibile dall’aria del “ti spiezzo in due”.

Comunque Harold non dispera. Si piazza su una collina difficile da espugnare per la cavalleria. Parte il primo attacco degli arcieri normanni: una pioggia di frecce, ma i sassoni non fanno una piega, saranno pure stanchi ma scemi no, creano un muro di scudi e non si muovono di un millimetro.
Uno a zero per Harold.
Le truppe normanne si allargano nel tentativo di accerchiare il nemico ma la salita è impervia e parte il contrattacco: un gruppo di sassoni prende di mira l’ala bretone dei normanni, che si spaventa e indietreggia, in più si diffonde la falsa notizia che Guglielmo sia morto ed è il panico, i normanni sono nel caos.
Due a zero per Harold.
Ma ecco il nuovo colpo di scena splendidamente illustrato nell’Arazzo di Bayeux: Guglielmo si toglie l’elmo per farsi riconoscere e grida a squarciagola “Guardatemi, sono vivo!”, le truppe si rianimano ma sono ancora in grande difficoltà. Finchè i sassoni restano sulla collina la cavalleria non riuscirà a raggiungerli. 
Allora Guglielmo ha un’ideona: avendo osservato il gruppetto dell’esercito nemico piuttosto smanioso di inseguimenti, crea una finta ritirata ed ottiene l’effetto desiderato, il gruppo scende dalla collina per inseguire i normanni e le prende di santa ragione, il resto dell’esercito sassone cerca di aiutare l’ala in difficoltà e quindi scende a sua volta. 

La cavalleria aspettava solo questo per attaccare, uno dei primi ad essere colpito è proprio Harold, una freccia nell’occhio, e tanto di cadavere fatto a pezzi da Guglielmo in persona (non so che bisogno ci fosse di essere splatter, ma è così…).

Vittoria schiacciante (e direi massacrante) di Guglielmo, che il giorno di Natale 1066, viene incoronato Re d’ Inghilterra, dando il via al dominio della dinastia Normanna.


Se volete sapere qualcosa di serio su come sono andati i fatti, potete trovarlo per esempio qui:

mercoledì 8 ottobre 2014

Italians Do It Better (maybe...)

Noi italiani ci serviamo abbondantemente dell’inglese per la comunicazione (perché se è inglese è meglio), poi prendiamo i termini, li deformiamo, italianizziamo, ne facciamo ciò che vogliamo, siamo imbattibili in questo. 
Dalle mie parti vedevo spesso insegne di negozi con scritte raccapriccianti, FASHION massacrato in tutti i modi: FASCION, FASHON, FASCHION… (ho dovuto controllare prima di scriverlo, da quale pulpito…), qualche BIUTIFUL (tra i parrucchieri andava parecchio), nonché un INTERNASCIONAL.  

Pensavo che fosse un problema solo nostro ma devo dire che anche qui non se la cavano male. “Se è italiano è meglio” vale a volte per la moda, più spesso per il cibo.

Qualche locale fa i panini all’italiana. Ma dovete chiedere un PANINI (singolare), o più PANINIS (plurale). 
Spesso vedo il Cappuccino trasformarsi in CAPUCHINO e una volta mi sono imbattuta in un ITALIAN COTTECHINO, ma era un errore di trascrizione.


Colleziono volentieri menu di ristoranti e pizzerie d’asporto, capolavori di ingegno linguistico.
Su questo menu compare un ricercatissimo (dicono) piatto tradizionale italiano: ANTI (staccato) PASTI AND BOCHACINNI… sarebbe? Antipasto di verdure con Bocconcini di mozzarella. 

Ma se volete, a pagina dopo c’è anche la BOLOGNAISE, non so se consigliarvela però, si è “inglesizzata” per strada.


Sono rimasta molto colpita da questo MILANO PIZZA (che è come dire: Napoli Panettone, o Napoli Cassoeula. La cucina lombarda vanta grandi specialità, ma forse la pizza non è proprio la punta di diamante…), garantita 100% Halal, scritto in arabo perchè sia comprensibile (e allora siamo sicuri che la cucina è italiana…). 
Le foto, per un’amante della pizza, quella vera,  sono un susseguirsi di colpi al cuore (e allo stomaco). Una gigantesca “cosa” guarnita da serie di involtini al formaggio (che, all’emigrante nostalgico e confuso, a prima vista sembrano babà alla crema). 

Ben 33 varietà di pizza con gli ingredienti più disparati, dal Pollo Tandoori o Barbecue, alla Doner (italianissimi!).
Segnalo la n°31: SICILANA (senza la L) e la 32: VERDUE (senza la R).



In questo “Italian Base Pizzas” (una PIZZA, più PIZZAS), trovo nomi familiari come CAPRICCIOSA, QUATTRO FORMAGGI, condita con Buffalo Mozzarella (che è mozzarella di bufala come io sono la Duchessa di York ) e  Feta greca… (che per altro,sarà ottima);  la Quattro Stagioni ha gli asparagi… ma, ognuno la pizza la fa come vuole, no?  
Poi c’è la SUPREMEA (una E in più?) e subito dopo la Napoletana c’è la PARMATTA, il cui nome mi lascia un po’ interdetta (scusate la rima), che dentro ovviamente ha l’ANANAS, ingrediente tipico della cucina parmense, parmigiana, PARMATTA, insomma…

Ricordate che sulla pizza ci sono spesso PEPPERONI, che non sono peperoni (attenti, italici vegetariani, non andate in confusione!), ma un salame piccante, se invece volete del salame normale, dovete chiedere il SALAMI, un SALAMI, più SALAMIS.  





A volte nella stessa pizza (in questo caso l’ Americana) potete trovare: Sausage (salsiccia), Salami (salame), Pepperoni with chilli (salame piccante al peperoncino), e Peppers (peperoni). 

E resterete sazi per due giorni, il tempo medio di digestione è infatti 48 ore, buona fortuna!


mercoledì 1 ottobre 2014

A London Based Illustrator

illustrazione per  Oxford University Press, particolare-monicauriemma
La Princesse et les Prétendants, Allez- Oxford University Press, particolare

L’ho incontrata ad ottobre 2013, un anno fa, erano due mesi che la inseguivo via mail. Dopo più di un anno di ricerca, e infiniti elenchi di nomi sottolineati, cerchiati, depennati ...

Mi aveva inviato già la bozza di contratto e si era detta entusiasta di rappresentarmi ma io ho insistito per vederla da vicino, anche se c’era da aspettare.

Dovevo guardare in faccia la persona nelle cui mani stavo mettendo il mio lavoro (e il mio futuro qui).  
Dovevo dirle che se affidavo l’esclusiva ad un’agente, volevo qualcuno disposto davvero a puntare su di me, non mi interessava essere infilata in un calderone in attesa che mi si scovasse per caso, e non volevo che mi si dicesse “ho importanti notizie da comunicarti” per poi sparire nel nulla (come mi era già accaduto), avevo già perso troppo tempo. 
Dovevo dirle che dopo un anno dal mio trasferimento, per sopravvivere facevo le pulizie, e se lei credeva veramente a quello che mi aveva scritto: “You indeed are a very talented artist”, questo era il momento di dimostrarmi che era in grado di procurarmi il lavoro per cui ho veramente talento.

La mia esperienza come cleaner mi aveva regalato tra le tante cose, una nuova determinazione, una chiarezza d’intenti, insieme a un pizzico di: adesso ti faccio vedere chi sono, che a volte è molto utile ad una come me, abituata fin troppo al basso profilo.

Piccolo particolare, avrei dovuto dirglielo in inglese (sigh…).

Ci incontriamo al Circus Cafè, zona est di Londra, un locale piccolo ma delizioso, con arredamento e tappezzeria ricavati da oggetti di risulta, perfetto per me.
Bruna, snella, di quelle donne eleganti naturalmente, anche senza trucco e con i capelli raccolti con una matita, si chiama Sylvie ed ha un bellissimo accento che tradisce le origini francesi, poi scopro che è anche un po’ italiana, per parte di padre. Guardiamo i miei disegni e parliamo, parliamo per due ore delle nostre esperienze, della nostra storia, in un pittoresco itanglish /franglish.

E’ una vergogna che tu non abbia ancora sfondato qui – Più che altro è una sfiga…
- Non voglio che tu tra un anno mi dica: mi sto mantenendo facendo la cleaner – E figurati io!
- Non posso darti certezze ma dobbiamo fare un piano d’azione – “action plan”, “strategy”, tesoro, hai appena detto le parole magiche che speravo di sentire. 
- Attaccheremo il mercato su più fronti. Picturebooks di pregio (potrebbe servire anche un anno per trovare la commessa giusta) e mercato commerciale, advertising, educational, che portano liquidità. Sei abbastanza versatile per poterlo fare, se sei d’accordoSe sono d’accordo??? Ma dimmi dove devo firmare!

Forse l’ho trovata. Non oso dirlo ai quattro venti ma torno a casa piena di speranza. Seguono una serie di scambi di materiale e finalmente a dicembre 2013, il mio primo incarico.

Una piccola immagine per Allez una pubblicazione della Oxford University Press, l’illustrazione di un racconto tradizionale del Mali per insegnare il francese a ragazzi inglesi (quando si dice intercultura…).

La Princesse et les Prétendants una sorta di Turandot africana.
illustrazione - Oxford University Press-monicauriemma
Ayawa, una principessa troppo bella e fiera per accettare la corte dei numerosi nobili venuti da tutto il globo per sposarla, indispettita e affaticata dal dover dire tanti NO, decide di smettere di parlare. 
Il padre disperato annuncia che qualunque pretendente sia in grado di farle tornare la parola avrà la sua mano. 
Ma l’impresa sembra impossibile per chiunque. 
Un giorno un mendicante, neanche tanto attraente, si inginocchia davanti a lei, e senza dire una parola accende un fuocherello e tenta di preparare un tè con un bollitore poggiato su due pietre. 
Ovviamente il bollitore senza equilibrio cade, e cade più volte, ma lui con pazienza ci riprova. 
Ayawa resta in silenzio finché può, al quindicesimo tentativo sbotta:- Ma insomma, mettici una terza pietra, così non cade!!!

E così la principessa sposa un mendicante, e vissero tutti felici e contenti? Io non credo, ma mi diverte molto l’idea che per noi donne sia impossibile tacere quando vediamo una cosa storta…

È una tavola piccolissima, 12cm x 5, non certo un capolavoro, ma io le sono molto affezionata. Per me questa era la chiusura di un cerchio e un nuovo inizio.
Il mio primissimo schizzo in terra anglosassone, era il ritratto di una donna nera incontrata in metro, lo avevo chiamato “Principessa Africana”, forse era lei, Ayala, venuta a portarmi fortuna… 
Grazie ad uno strano incrocio di lingue, origini, energie, per buona parte femminili, potevo finalmente dire: I’m a London based illustrator.