martedì 23 dicembre 2014

I wish you...

Christmas Card 2014 - Monica Auriemma-

A volte le cose che ci spaventano di più, come il tempo che passa, i cambiamenti, le novità, sono quelle che ci portano i regali migliori.

Non sapevo cosa augurarmi e augurarvi quest’anno, allora ho deciso: voglio lasciare che questo 2015 mi sorprenda.

Auguri!

mercoledì 10 dicembre 2014

Ho imparato a Guidare a Napoli

Illustrazione da "La Bottega dei Sogni Perduti"-monicauriemma
Illustrazione da "La Bottega dei Sogni Perduti" Lavieri Ed. Monica Auriemma-
Una delle tante belle sorprese che ho trovato in UK è che il giallo del semaforo scatta due volte: una volta prima del rosso, un’altra prima del verde. Semplice ma a mio parere geniale.

Da automobilista penso al semaforo come fonte di grandissimo stress: occhio fisso alla luce che il verde non ti colga di sorpresa, polpacci in tensione pronti allo scatto sull’acceleratore, a volte sgasate inutili per evitare di spegnere il motore, che nell’attimo stesso in cui scatta il verde partono i clacson di quelli che stanno dietro (pure loro tutti stressati). 
Ripeti questo ad ogni semaforo e pensa quanta salute guadagneresti se avessi un giallo che ti avverte per prepararti a ripartire.

Non so perché questa pratica sia assente in Italia. Forse abbassare il livello di stress di chi guida non è nelle priorità del nostro codice, forse all’automobilista italiano medio piace sentirsi pilota di Formula 1, gli piace essere sempre in tensione, pronto allo scatto, all’attacco.

Confesso che a me guidare non è mai piaciuto. Ho preso la patente tardissimo e con riluttanza, solo per necessità. 
Per di più ho imparato a guidare a Napoli, e se qualcuno si sta chiedendo: “Perché, che differenza fa?” risponderò che equivale più o meno a: sono stata nella legione straniera, sono sopravvissuta nella Giungla, ho fatto la guerra, una cosa del genere. 
Guidare per le strade di Napoli dovrebbe essere riconosciuta come “pratica altamente usurante” , anche se non lo fai per lavoro, e consentire di anticipare la pensione, diciamo, un anno ogni dieci di guida. Parlo sul serio.

Non è che ci tenga particolarmente a parlar male della mia terra (ho visto che la situazione in altre città italiane, come Roma per esempio, non è certo rosea), ma è il posto dove sono cresciuta e che conosco meglio, io so per certo che il codice della strada a Napoli ha altre regole, non scritte, magari contrarie alla legge, eppure in qualche modo funzionali.

Partiamo dal fatto che la circolazione è difficilissima, causa la morfologia del territorio, la scarsità di mezzi pubblici e lo stato delle strade. La situazione in centro è in qualche modo migliorata negli anni con l’introduzione delle ZTL e di un po’ di rotonde ma, insomma, è una città in perenne emergenza. 
Per cui il cittadino sente il dovere di “interpretare” con una sorta di furbo buonsenso quelle che altrove sono norme tassative. 
Voglio dire che la regola a Napoli può essere infranta, col beneplacito di tutti, se devi risolvere un problema, e siccome è difficile che non ci siano problemi, la cosa avviene piuttosto spesso. 
Se c'è un problema non si aspetta l'autorità (vigili, polizia, ecc...) si parte dal presupposto che l'autorità sia assente, o incapace, e ci si organizza da soli. Ho visto coi miei occhi autisti di autobus  indire piccole assemblee con i passeggeri, per trovare strade alternative anche se fuori percorso, in caso di particolari ingorghi.

I colori del semaforo non vengono percepiti come comandi, piuttosto come consigli (questa devo averla sentita da qualche parte, mi scuso se ho rubato ma rende bene l’idea).

Il rosso a Napoli ha delle sfumature. 
C’è il rosso fuoco, perentorio, quello di  strade a scorrimento veloce,  incroci trafficati, lì non c’è storia, ti devi fermare, il napoletano non è un kamikaze. 
Poi ci sono quei rossi un po’ annacquati, sai che la strada che incroci è poco trafficata, fermati un po’, dai un’occhiata, ma se non viene nessuno, non stare a perdere tempo, vai! 
E poi ci sono i rossi quasi gialli, quelli “inutili”, che magari stanno dopo vicoletti praticamente deserti, tu te ne accorgi, se non arriva nessuno, che necessità c’è di fermarsi? 
Ho provato di persona la sgradevole sensazione dello strombazzare di clacson dietro di me quando ero ferma ad uno di questi. A volte l’ho fatto apposta, sono rimasta ferma lì, inchiodata al semaforo rosso, semplicemente perché volevo “sentirmi libera” di rispettare una regola che tutti ignoravano. 
D’altro canto anche i verdi hanno le loro sfumature. 
Difficile che un napoletano passi col verde a cuor leggero. Non si fida. Lo sa che ci potrebbe essere qualcuno che dall’altro lato sta pensando di buttarsi.

I sensi unici non sono quasi mai veramente unici, diciamo che sono sensi unici alternati. 
A volte sono stradine che ti permetterebbero di tagliare un percorso accorciando di parecchio ed evitando il traffico, e tu che fai? Non ci provi? Lo fanno tutti! Spesso l’ho fatto anch’io (col cuore in gola). 
Il bello è che dall’altro lato lo sanno. Quelli che procedono nel senso giusto si armano di pazienza e sanno che ogni tanto devono rallentare o accostare al marciapiede per far passare i “fuorilegge”. Tanto capiterà anche a loro di vedersi ricambiato il favore prima o poi. 
Amici mi hanno raccontato che chiedendo indicazioni ad un vigile si sentirono rispondere: “La strada giusta è di là, ma vi infilate in un ingorgo, ci potreste impiegare un’ora, di qua c’è un vicoletto che vi fa sbucare dall’altro lato, sarebbe senso unico… facciamo così: io mi giro dall’altra parte e voi passate”

Il pedone a Napoli non ha la precedenza, MAI.
E lui lo sa (se è napoletano). E se non lo è? Conoscete il vecchio detto: Vedi Napoli e poi muori? Beh, potrebbe avere più di un significato…
Ci si allena da bambini, imparare ad attraversare la strada è stato un grande momento di passaggio della mia infanzia. 
Come una di quelle prove d’iniziazione delle tribù africane: dimostri il tuo coraggio e la tua prontezza di riflessi. 
Ignorando le strisce pedonali, che tanto non verranno prese in considerazione da nessuno, si attraversa quando e dove si può, spesso invocando la benedizione di forze ultraterrene. 
Il pedone napoletano non può rilassarsi, ruba quel momento di vuoto di traffico, impara a calcolare i tempi e la velocità dei veicoli e l’automobilista d’altra parte si aspetta sempre che qualcuno sbuchi all’improvviso ed è pronto a frenare. 
Il napoletano ha un'insofferenza profonda, quasi atavica, alle regole, le sente come imposizioni: Io non voglio attraversare dove mi dici tu, dov’è stabilito. Voglio passare dove mi pare. So che rischio la vita, ma la vita è mia e me la gestisco io! 

Da quando sono qui a Londra continuo a stupirmi del fatto che appena mi avvicino alle strisce, preparata tranquillamente ad aspettare il passaggio di due o tre auto, il veicolo più vicino immancabilmente si fermi per farmi passare, a volte si ferma PRIMA che io capisca di dover attraversare, no, dico, che fai? Sei telepatico? 
Il parco dove corro è tagliato da alcune strade, con strisce pedonali fuori ai cancelli, gli automobilisti si fermano a prescindere, quando corro non sono neanche costretta a rallentare per attraversare.
Sempre felicemente incredula, faccio un cenno di ringraziamento con la mano. Mi sento in un altro mondo.

D’altra parte anch’io da pedone devo rispettare i semafori e gli attraversamenti (perchè qui mi concedo il lusso di non guidare, che coi mezzi pubblici mi sposto dove voglio, e comunque ho una fifa blu perchè si tiene la sinistra invece della destra). 
A volte il vecchio istinto vorrebbe riemergere. C’è una strada sotto casa che dista in linea d’aria pochi metri, con pochi passi sarei dall’altro lato, solo che è ad un incrocio di cinque strade, ed io devo fare un percorso a U passando ben 4 semafori per arrivarci. 
Nel profondo mi ribello, la mia mente non comprende perché io debba fare tanta strada e interrompere il cammino tante volte per andare di fronte… ci ho anche provato una volta a passare “di traverso” è stato impossibile, mi devo rassegnare a rispettare la legge, acc...

Ovviamente, così come ci sono anche automobilisti disciplinati a Napoli, qui ci sono i trasgressori, e le conseguenti multe. 
Un giorno il mio compagno, che guida per lavoro, si è visto recapitare una multa per eccesso di velocità,  accompagnata da una lettera. 
Gli si diceva Scegli: la multa la paghi comunque ma puoi perdere punti sulla patente o venire ad un corso sulla sicurezza stradale
Oh, no… che cos’è, una specie di gogna? Verrai aspramente redarguito e marchiato d’infamia come indisciplinato? 
Comunque, pur di non perdere punti è andato. 
Alle presentazioni sembrava uno di quei corsi di auto-aiuto, tipo: ciao a tutti, sono Mark e ho investito un pedone… un applauso d’incoraggiamento a Mark… 
Poi pare che abbia avuto informazioni utili e imparato parecchio su come gestire il mezzo in situazioni difficili, insomma, alla fine gli è piaciuto!

Penso a come sarebbe bella una cosa del genere anche a Napoli… ma forse il napoletano medio pur di non sottoporsi all’onta di sentirsi dire quello che deve fare, perderebbe i punti (e poi troverebbe un modo non proprio legale di riguadagnarli). Sigh.


Questo è l’inizio di “Così Parlò Bellavista” film di 30 anni fa, col famoso “ingorgo a croce uncinata”

E, per Par Condicio, direttamente da Milano, Gioele Dix: L’automobilista ...zzato come una bestia:


mercoledì 3 dicembre 2014

Shang Dynasty (primo: capire il Brief)

illustrazione-pittura-cinese-Wordsmith-monicauriemma
Shang Dynasty-Wordsmith-family-detail-monicauriemma

Avviso a tutti gli illustratori: Il passaggio dall'editoria italiana a quella inglese può essere un trauma, soprattutto se devi lavorare per la scolastica (e non sei abituato, come me).

Prendo ad esempio uno dei miei primi lavori inglesi: due illustrazioni riguardanti la Dinastia Shang per un e-book dal titolo: “Wordsmith”,  PearsonEducation.

Il primo grosso problema è il Brief (o LA Brief, come dico io, tanto in inglese è uguale…), cioè la descrizione del lavoro, che è una contraddizione in termini perché Brief viene da BREVE, e in molti casi è più lunga del testo del libro in questione.

Io vengo da un mondo in cui ti viene dato il testo, le misure, e al massimo un in bocca al lupo (lasciandoti a volte in balìa di dubbi amletici sull’interpretazione) e mi ritrovo qui dove ti dicono che tipo di paesaggio vogliono, gli oggetti, gli animali ,quanto è verde l’erba, chi c’è, di che età, razza ed estrazione sociale, cosa sta facendo, come è vestito e magari dov’era stato il giorno prima e come si chiama il suo cane… è spiazzante!

Tanta precisione nelle richieste ti obbliga ad un’accurata ricerca e documentazione visiva, ma, in questo caso, hai beccato la Dinastia Shang (1600-1000 a.C.), così antica che le immagini sono pochissime e così “sfigata” che nessuno si è degnato di farci un film, che so, pugnali volanti, tigri e dragoni, quella roba lì. 
Passi le ore a interrogarti sulla forma dei cesti di vimini di 3000 anni or sono, e non è piacevole.

Comunque, immergersi in un altro luogo e in un altro tempo è sempre un’avventura straordinaria per me, è quasi la parte più bella del lavoro, sei travolta da stimoli visivi, informazioni, e più cerchi e più trovi, anche se in questo caso i problemi legati al poco tempo a disposizione e al fatto che molti dei miei libri di riferimento fossero ancora in Italia, mi hanno fatto perdere un po’ la bussola.


Ecco il prodotto delle mie fatiche:

Illustrazione-pittura cinese-monicauriemma
Shang Dynasty-Wordsmith-family-monicauriemma

La prima tavola doveva imitare una pittura cinese antica, con un nucleo familiare in un interno, genitori, nonni, zii e pargoli di varie età, in una precisa posizione gerarchica, lasciando alcuni spazi per il testo, dentro una cornice di bronzo stile Shang.

Per capire alcuni passaggi del Brief ero costretta ad affidarmi a Google Traduttore che non solo si ostina ad ignorare il genitivo sassone, ma, ormai ne sono certa, fa uso massiccio di droghe: “a narrow-cuffed tunic” viene tradotto come “una stretta ammanettato tunica” e “long hair  should be wearing it up in buns” è tradotto come “capelli lunghi dovrebbero essere lo indossa in panini”
Ma come vestivano strano questi cinesi, tuniche con le manette e panini sulla testa? 
(le manette in realtà sono risvolti o polsini e i panini sono shignon, ma mi ci è voluto un po’ per capirlo…)

Imitare la pittura cinese, è una parola! E’ un meraviglioso universo parallelo: dimentica la prospettiva come la conosci, la tridimensionalità e il chiaroscuro, lavora di sintesi, di decorazioni, non mettere le ombre…  ci sono riuscita solo in piccola parte, cercando volti, pose, acconciature, ho preso qualche scivolone, il risultato è un evidente compromesso, ma, insomma, non è malvagio.

I clienti si sono detti soddisfatti: “the frame really looks like it's made of bronze!”.  

Illustrazione-pittura cinese-monicauriemma
Shang Dynasty-Wordsmith-family-detail-monicauriemma
La cornice è in realtà la somma di un disegno a matita che imita una decorazione Shang (l’unica cosa che non manca alla documentazione del periodo sono i vasi in bronzo, vasi, vasi, tanti vasi…), una texture fatta a tempera acrilica su vecchia tavoletta di legno, qualche ombreggiatura e il mio genio creativo, of course…  ;-)

La seconda tavola è una scena di campagna, che mostra coltivatori di miglio al lavoro, padre e figlio, con cani, pecore, un aratro in pietra tirato da buoi, una capanna e in primo piano un baco da seta, il tutto condito da un testo piuttosto fitto.
Shang Dynasty-Wordsmith-farm-scene-monicauriemma
Ecco le domande che ti assalgono: che forma avranno le scarpe di paglia di un contadino Shang? E l’aratro di pietra tirato da buoi sarà accompagnato da uno o più uomini? Com’erano le capanne 3000 anni fa? E le pecore cinesi? Siamo sicuri che fossero come quelle che conosciamo noi? (Non lo sapevate? Sapevatelo!)

Illustrazione-Shang-Dynasty-scena di campagna-particolare-monicauriemma
Shang Dynasty-Wordsmith-farm-scene-detail-monicauriemma
Per gli abiti il Brief mi chiedeva: “loose cotton shirts (made from cotton) and trousers made from hemp with shoes made from straw”. E mi raccomando, le bluse in cotone, i pantaloni in canapa e le scarpe in paglia, che se mi accorgo che hai fatto le bluse in canapa e i pantaloni in cotone sono guai!

Ragazzi, forse non sapete con chi avete a che fare: fin da quando lavoravo in teatro avevo l’abitudine di salvare dalla distruzione piccoli scampoli di stoffa di ogni tipo, tutti scannerizzati e finiti in archivio. 
Voi volete la canapa? E Monica vi da la canapa. Voi volete il cotone? E Monica vi da il cotone! 

Comunque è andata, dopo un paio di discussioni via mail sulla lunghezza dei capelli del ragazzo, ce l’abbiamo fatta, tutti contenti, illustratrice stremata ma appagata e perfino pagata.

P.s. Altro consiglio per gli illustratori italiani: 
non vi azzardate a nominare i files con dei titoli fatti di parole comprensibili, tipo “Farmer Scene” o “Family Scene”, come stupidamente avevo fatto io. 
Qua è tutto regolato e codificato, le illustrazioni sono centinaia, da vari illustratori, e bisogna avere un codice di identificazione (e poi gli inglesi se non usano abbreviazioni si sentono male…) perciò le mie tavole si intitolano, molto poeticamente: R3_Yr4Shang_S6 e R3_Yr4Shang_S7