mercoledì 28 maggio 2014

Ti voglio bene Primark

Ti voglio bene Primark. disegno. monicauriemma
Ti voglio bene Primark, 
a te e a tutte le catene di stores che permettono a persone come me di vestire dignitosamente spendendo poco. 

Voglio bene ai negozi sportivi che mi consentono di comprare ottime scarpe da running a 20£ (così non ho più scuse per non fare allenamento) e a tutti quelli che mettono saldi e offerte in qualsiasi periodo dell’anno, a tutti i negozi “Big labels, small prices”, ma soprattutto a te, Primark.
Perché tu hai risolto due problemi in uno: budget e fuori/misura. 
Quando, invece dell’ideale 90/60/90 (che, diciamocelo, è appannaggio di poche elette)  misuri come me 106/103/106 cm su 150 di altezza (sono anche detta “Barbie Boyler”), ti viene un senso di sconforto ad entrare in un negozio di fascia medio/bassa in Italia: tu non esisti, né nel reparto adulti, né in quello bambini (dove di solito trovi le scarpe), devi cercare nelle taglie conformate (dove notoriamente i modelli e le fantasie sono da signora cinquantenne...ops...ma io sono quasi una signora cinquantenne!), devi rivolgerti a fasce più alte di prezzo, non puoi. 
E invece qui sì. 
Non so se è a causa dell’enorme varietà di etnie che popolano questa città, con la loro specifica corporatura e con esigenze diverse,  non so se perché qui hanno capito che non tutti amano vestire allo stesso identico modo (soprattutto, non tutti amano vestire extra-slim), fatto sta che non mi sento più un'aliena. 
Ti voglio bene perché non trovavo più stivali che potessero andar bene per me (piede piccolo, polpaccio importante) e invece da te c’erano! Perché con 2 pounds compro 5 paia di calzini di ricambio e con 3 un reggiseno sportivo. E quest’inverno ho preso un piumino con cappuccio che si chiude bene, non sembra avere le spalle di tre taglie in più, e fa il suo dovere per 20£! 
Lo so che non è alta qualità, ma garantisce uno standard minimo sufficiente. 
Chi vuole, chi può, troverà sicuramente di meglio, ma chi non può non avrà le toppe al sedere. 
Hai un’importantissima funzione sociale. Per questo ti voglio bene.

Poi sei attento all’ecologia, produci le tue buste riciclando la carta e io, lo sai, sono molto sensibile a questi temi… e quindi voglio aiutarti a migliorare il tuo servizio rivelandoti la mia scoperta. 
Siamo a Londra. Londra, hai presente? Una città in cui piove un giorno sì e l’altro pure. 
Giorni fa, sono uscita da un tuo negozio con la mia bella borsa di carta carica di vestiti ed è cascato giù un piccolo diluvio, ho impiegato esattamente 5 minuti ad arrivare alla fermata, e altrettanti per aspettare il bus. 
E proprio mentre stavo con un piede sul predellino, con una tempistica perfetta, la tua borsa si è letteralmente dissolta, è diventata poltiglia buona per fare la cartapesta, tutti i vestiti a terra e io ti ho inviato tante benedizioni in tutte le lingue del mondo, a te e ai tuoi antenati. 
Volevo fartelo sapere: la carta ha il piccolo difetto di non essere impermeabile. 
Potresti scrivere sulla busta: “Resistenza massima testata sotto la pioggia: 9’ e 30” ” oppure deciderti a darmi due buste in una, come qualche volta hai fatto, ma non quel giorno che pioveva?

Lots of love


Monica

martedì 20 maggio 2014

Improbabili Interviews n°4. Le mani in pasta.

Siamo nel marzo 2013, poco più di un anno fa.  Mentre cercavo un’altra agenzia d'illustrazione (dopo che la prima si era data alla macchia, come ho scritto qui), applicavo e applicavo e applicavo...

Company italiana che produce pasta artigianale e vari sughi cerca assistenti di cucina part-time e full-time, con la passione del cibo e una buona conoscenza della cucina italiana. Scrivo. Sono italiana, dovrebbe essere un vantaggio, quanto alla passione del cibo, se arrivano a vedermi lo capiranno da soli. 
All’interview telefonica segue una giornata di prova, retribuita metà paga (almeno...). 
Presentazioni: il capo, milanese, abbastanza giovane, aria da “Sono un grande imprenditore (guardami le scarpe) ma non ci tengo a sottolinearlo”, mi dice due volte che loro non lavorano a nero (guarda, l’idea di lavorare a nero non mi ha neanche sfiorata…).Poi ci sono i ragazzi che formano il team: un cuoco di Napoli, uno di Viareggio e un siciliano (sembra una barzelletta…). Vantaggio e svantaggio di lavorare con gli italiani, ci capiamo subito ma come mai potrò praticare l’inglese? 
Rimango  in compagnia dei ragazzi, simpatici e molto gentili. E poi c’è un lettore musicale, evviva! Adoro lavorare con la musica. Alla terza ora di rock italiano e al terzo minuto della cover di “Eppure il vento soffia ancora”di Pierangelo Bertoli, cantata da Ligabue (chitarra e voce, lentiiiissimaaa…), vengo presa dall’irrefrenabile desiderio di tagliarmi le vene col pelapatate: d’accordo la nostalgia di casa ma siamo a Londra, Londra, capite? Con tutto il rispetto per Ligabue, un po’ di musica inglese no?

Taglio e pulisco quintali di verdure. Lavo tutto il lavabile. Pelo patate. Svuoto, lavo e tolgo l’etichetta a DUECENTO barattolini di pesto scaduto, preparandoli per la sterilizzazione. Stupore e gratitudine nei loro sguardi, li ho sollevati da una rogna che si passavano da giorni a vicenda. Ragazzi, è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo! È molto stancante ma sono a mio agio. Nessuna difficoltà.

Chiacchiero con loro e capisco che c’è tensione col boss. 
Momento particolarmente indaffarato, uno di loro non fa un giorno di pausa da tre settimane, l’altro sta per lasciare, non ne può più. Lavora tre giorni a settimana ma va via a mezzanotte e deve anche caricare e scaricare i furgoni per i mercati. Un altro è sbattuto da un mercato all’altro senza preavviso o pianificazione. Le cose potrebbero andare meglio, organizzandole. 
In cuor mio spero che la richiesta di aiuto sia per aumentare il team di almeno due/tre unità; per come la vedo, servono un paio di figure tutto-fare di cui una potrei essere io, che si occupino solo di facilitare il lavoro ai cuochi, lavando, pulendo e preparando gli ingredienti. Così loro possono concentrarsi sulla cucina, produrre di più e meglio. Ma qualcosa mi dice che la politica è: spremo le persone finché ce n’è, poi le cambio con altre, tanto la company sono io. I colleghi sono molto giovani, tutti qui da poco e non hanno imparato molto d’inglese, lui gioca su questo, dice che c’è crisi e dove lo trovano un altro che li prenda così... 
Tutto questo mi balza in faccia come un deja vu. Già vissuto, molti anni fa, quando lavoravo nei laboratori di Scenografia. Turni massacranti, sette giorni su sette, paghe da fame e un continuo: Sei giovane, devi fare esperienza, dovresti ringraziare se ti faccio lavorare, sono appena le sei, già te ne vai? Un martellamento tanto ripetuto che finivi per crederci anche tu, ci credevano i tuoi colleghi anziani, ti entrava dentro, ti marchiava a vita. Un brivido mi percorre la schiena. È così che si forma il lavoratore medio italiano (non sempre, ma spesso). Allora avevo 21 anni ed ero appena uscita dall’Accademia, ci ho messo molto a scrollarmi di dosso questo condizionamento. Adesso di anni ne ho 45 e, amico, se ci provi con me ti ritrovi con un calcio nel c…

A fine giornata arriva il boss. Come va? Tutto bene. Parliamo dell’orario, ribadisco che sono disponibile per un part-time, massimo trenta ore settimanali come da annuncio e lui mi dice che in quel momento il “part-time” che sta facendo il ragazzo che devo sostituire (ecco…) è di 38 ore (!), comunque si sta organizzando, deve vedere altri candidati, mi farà sapere a breve. Giorni dopo mi comunicherà che hanno scelto un ragazzo. Uno solo. Logico. Ti serve qualcuno giovane e forte, che non abbia pretese di orario, sia qui da poco e alla ricerca del primo lavoro, a cui puoi dire che gli fai un favore se lo prendi.

Dispiacuita? Mah… guarda, anche no.

martedì 13 maggio 2014

Si corre!

the crow. monicauriemma
The crow: penna, pastello ad olio, acrilico, pc, pastina (cruda, per i fiori...)
Questo corvo è uno dei miei incontri mattutini. Penne lucide un po’ arruffate e sguardo costantemente accigliato, ma solo per darsi un contegno. Non proprio un amico, una gradevole conoscenza. Più che altro mi tollera benevolmente, come tutti gli animali e le piante del parco. Magari pensa: “Ecco gli strani umani che corrono e si affannano senza uno scopo, non raccolgono cibo, girano in tondo e tornano indietro” Sono un’ospite qui, come tutti i jogger, diversi dal popolo chiassoso dei pic-nic domenicali, cerchiamo di dare poco disturbo, il tempo di una corsetta, ci rivedremo domani.
Mi do delle arie da sportiva ma in realtà ho ripreso a correre solo da un po’ di settimane. Sempre che sollevare i piedi 2 cm da terra si possa definire correre. La mattina, intorno alle 7.30 porto le mie rotondità a spasso.
Wall-E. Disney. gli esseri umani
Wall-E. Gli umani
E’ che dovevo fare qualcosa: ho impressa nella mente l’immagine dei personaggi del film Wall-E: corpo molliccio, incapaci di reggersi in piedi, se mi guardo allo specchio sto diventando uno di loro, non voglio un giorno rotolare dalla sedia e rimanere a terra. Poi qui non ho scuse. Nell’ultimo posto dove ho abitato (una “ridente” cittadina vicino Caserta), correvo in parte sul ciglio di una strada provinciale  rischiando di essere investita o avvelenata dai gas di scarico dei camion, in parte all’esterno di una villetta comunale, facendo lo slalom tra le lattine di birra e i rifiuti. Qui a trecento metri da casa c‘è il bellissimo Victoria Park, sono fortunata, ma non è una cosa rara, anche nei quartieri più popolari è difficile trovare una zona di Londra senza almeno un parco, un giardino, uno straccio di playgroud per i bambini. Io sono abituata all’edilizia selvaggia della provincia del sud Italia, dove il verde è solo un fastidioso ostacolo da abbattere per fare posto a palazzoni, ipermercati, parcheggi, e quindi continuo a stupirmi per la presenza della natura all’interno della città, come invece dovrebbe essere.
People in the park. foto di monicauriemma
Fa freddino la mattina ma ovviamente questo non ferma gli inglesi, loro corrono e corrono, con la luce e col buio, col sole o con la pioggia (io ancora non ce la faccio, l’altro giorno pioveva, cento metri e sono tornata indietro… loro no, i maledetti continuano imperterriti…). 
Corrono a piedi, coi pattini, in bici, col deambulatore. 
Corrono da soli o in compagnia, con i cani. 
Caricano i bambini sulle bici o semplicemente spingono le carrozzine, correndo. 

Mi piace questo popolo silenzioso che si riempie i polmoni d’aria pura prima di infilarsi in una giornata frenetica. Respirano. Respiro.

Prendo appunti mentali, la fotocamera pesa e non voglio sballottarla nello zaino, scatto foto solo quando vengo a passeggio. 
Però oggi ho portato a casa un ricco bottino. Foglie violacee cadute da un albero. Impazzisco per questo colore, ne farò qualcosa, per ora le metto sullo scanner, vi farò sapere. 

mercoledì 7 maggio 2014

Improbabili Interviews n°3

Gennaio 2013. In attesa di notizie dall’agente di illustratori desaparecida, le mie applications continuavano. Rispondo ad un annuncio: kitchen assistant in una Bakery (“o’ppane!” Cosa c’è di meglio?), mi invitano ad una prova in uno dei loro punti vendita. Ci metto poco a scoprire che non cercano proprio un assistente di cucina. La cucina non c’è…
Neal's Yard, London. Foto. monicauriemma
Siamo in zona Covent Garden, vicino alla coloratissima Neal’s Yard, il punto vendita è al centro di una galleria di negozi, c’è un bancone con prodotti salati e dolci e un retro banco con macchina per caffè/the. Ho mai detto che detesto il caffè e che non ho mai imparato a farlo? Lo so che sono napoletana, lo so! Ma non ne sopporto il sapore, l’odore, e mi irrita perfino la polvere quando lavo la caffettiera… Ovviamente qui cercano un BARISTA. Bene!

Per fortuna il ragazzo che deve istruirmi per la prova è italiano, almeno capirò subito cosa dice.

All’opera. Queste sono le bustine del the: normale, al lemon-ginger, the verde ecc… qui il caffè.
Espresso. Svuota la posa con colpo secco, riempi il contenitore, togli l’eccesso, avvita il braccetto, senti lo scatto? Deve fare lo scatto. Seleziona double cup, metti le tazze. Aggiungi il latte (il latte nell’espresso???). Impariamo come fare la schiuma. Premi qui. Rumore fortissimo di getto caldo nel contenitore, faccio un piccolo salto indietro per lo spavento. Ti regoli col rumore (nel senso? Più mi spavento meglio è?). La giusta proporzione: schiuma tre quarti di tazza (mmm…mmm…). Provo. Sbaglio. Riprovo. Ancora. Adesso facciamo il Latte (sarà facile… il latte è latte). Errore. Il latte è caffè-latte. Svuota la posa, riempi il contenitore, avvita. Single cup. Largo. Attenta alla schiuma. Aggiungi il latte fino all’orlo. Spolvera un po’ di cacao. Latte freddo a parte. Cappuccino. Svuota la posa…

La tortura dura un’oretta, non riesco a memorizzare le istruzioni, sono maldestra, un disastro.
Torno a casa un po’ avvilita. Ma la passeggiata è bella, faccio un po’ di foto, così scarico la tensione.
Neal's Yard, London. Foto2. monicauriemma

Neal's Yard, London. Foto3. monicauriemmaMi arriva dopo qualche giorno la mail del supervisor con il solito UNFORTUNATELY, senza nessuna sorpresa. Gli rispondo d’istinto che lo ringrazio e lo capisco, perché ero decisamente scontenta della mia performance (volevo dirgli: amico, fossi stato in te non avrei assunto me stessa neanche sotto minaccia!) e lui mi risponde subito dopo: “ma no, mi dispiace se la prendi così, forse era l’emozione, vedrai che la prossima volta andrà meglio, non ti scoraggiare ecc…”
Mi viene da ridere. Grazie, sei gentilissimo ma posso dare l’addio alla mia carriera di barista prima di cominciare?