martedì 20 maggio 2014

Improbabili Interviews n°4. Le mani in pasta.

Siamo nel marzo 2013, poco più di un anno fa.  Mentre cercavo un’altra agenzia d'illustrazione (dopo che la prima si era data alla macchia, come ho scritto qui), applicavo e applicavo e applicavo...

Company italiana che produce pasta artigianale e vari sughi cerca assistenti di cucina part-time e full-time, con la passione del cibo e una buona conoscenza della cucina italiana. Scrivo. Sono italiana, dovrebbe essere un vantaggio, quanto alla passione del cibo, se arrivano a vedermi lo capiranno da soli. 
All’interview telefonica segue una giornata di prova, retribuita metà paga (almeno...). 
Presentazioni: il capo, milanese, abbastanza giovane, aria da “Sono un grande imprenditore (guardami le scarpe) ma non ci tengo a sottolinearlo”, mi dice due volte che loro non lavorano a nero (guarda, l’idea di lavorare a nero non mi ha neanche sfiorata…).Poi ci sono i ragazzi che formano il team: un cuoco di Napoli, uno di Viareggio e un siciliano (sembra una barzelletta…). Vantaggio e svantaggio di lavorare con gli italiani, ci capiamo subito ma come mai potrò praticare l’inglese? 
Rimango  in compagnia dei ragazzi, simpatici e molto gentili. E poi c’è un lettore musicale, evviva! Adoro lavorare con la musica. Alla terza ora di rock italiano e al terzo minuto della cover di “Eppure il vento soffia ancora”di Pierangelo Bertoli, cantata da Ligabue (chitarra e voce, lentiiiissimaaa…), vengo presa dall’irrefrenabile desiderio di tagliarmi le vene col pelapatate: d’accordo la nostalgia di casa ma siamo a Londra, Londra, capite? Con tutto il rispetto per Ligabue, un po’ di musica inglese no?

Taglio e pulisco quintali di verdure. Lavo tutto il lavabile. Pelo patate. Svuoto, lavo e tolgo l’etichetta a DUECENTO barattolini di pesto scaduto, preparandoli per la sterilizzazione. Stupore e gratitudine nei loro sguardi, li ho sollevati da una rogna che si passavano da giorni a vicenda. Ragazzi, è uno sporco lavoro, ma qualcuno dovrà pur farlo! È molto stancante ma sono a mio agio. Nessuna difficoltà.

Chiacchiero con loro e capisco che c’è tensione col boss. 
Momento particolarmente indaffarato, uno di loro non fa un giorno di pausa da tre settimane, l’altro sta per lasciare, non ne può più. Lavora tre giorni a settimana ma va via a mezzanotte e deve anche caricare e scaricare i furgoni per i mercati. Un altro è sbattuto da un mercato all’altro senza preavviso o pianificazione. Le cose potrebbero andare meglio, organizzandole. 
In cuor mio spero che la richiesta di aiuto sia per aumentare il team di almeno due/tre unità; per come la vedo, servono un paio di figure tutto-fare di cui una potrei essere io, che si occupino solo di facilitare il lavoro ai cuochi, lavando, pulendo e preparando gli ingredienti. Così loro possono concentrarsi sulla cucina, produrre di più e meglio. Ma qualcosa mi dice che la politica è: spremo le persone finché ce n’è, poi le cambio con altre, tanto la company sono io. I colleghi sono molto giovani, tutti qui da poco e non hanno imparato molto d’inglese, lui gioca su questo, dice che c’è crisi e dove lo trovano un altro che li prenda così... 
Tutto questo mi balza in faccia come un deja vu. Già vissuto, molti anni fa, quando lavoravo nei laboratori di Scenografia. Turni massacranti, sette giorni su sette, paghe da fame e un continuo: Sei giovane, devi fare esperienza, dovresti ringraziare se ti faccio lavorare, sono appena le sei, già te ne vai? Un martellamento tanto ripetuto che finivi per crederci anche tu, ci credevano i tuoi colleghi anziani, ti entrava dentro, ti marchiava a vita. Un brivido mi percorre la schiena. È così che si forma il lavoratore medio italiano (non sempre, ma spesso). Allora avevo 21 anni ed ero appena uscita dall’Accademia, ci ho messo molto a scrollarmi di dosso questo condizionamento. Adesso di anni ne ho 45 e, amico, se ci provi con me ti ritrovi con un calcio nel c…

A fine giornata arriva il boss. Come va? Tutto bene. Parliamo dell’orario, ribadisco che sono disponibile per un part-time, massimo trenta ore settimanali come da annuncio e lui mi dice che in quel momento il “part-time” che sta facendo il ragazzo che devo sostituire (ecco…) è di 38 ore (!), comunque si sta organizzando, deve vedere altri candidati, mi farà sapere a breve. Giorni dopo mi comunicherà che hanno scelto un ragazzo. Uno solo. Logico. Ti serve qualcuno giovane e forte, che non abbia pretese di orario, sia qui da poco e alla ricerca del primo lavoro, a cui puoi dire che gli fai un favore se lo prendi.

Dispiacuita? Mah… guarda, anche no.

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