mercoledì 30 luglio 2014

Improbabili Interviews n°6. The Last interview

Inizio estate 2013, a otto mesi dal mio arrivo a Londra mi ritrovavo a fare il punto della situazione.

Numero di agenzie d’illustrazione contattate: più di cento.
Numero di risposte positive:3.  
Agenzia n°1: dopo un incontro e un paio di mail entusiaste scomparsa senza lasciare traccia (ne ho parlato qui);
Agenzia n°2: mi propone di tenere le mie immagini in prova per sei mesi, ne sono passati 5 e non è successo niente.
Agenzia n°3: uno degli agenti accetta di incontrarmi e vedere il portfolio. Ci facciamo una lunga chiacchierata in un caffè. Mi disegna lo schemino sul mercato editoriale UK che vedete qui:

schema mercato editoriale inglese. monicauriemma

Il triangolo a sinistra rappresenta i libri da 1,99£ in su, la fetta di minore qualità, chiamati Value, i libri da colorare, ecc… al centro c’è la fetta di mercato chiamata Quality Mass, e a destra i libri da 10.99 in su, i Gift Books, quelli un po’ più di pregio. 
Da quello che vede, il mio lavoro avrebbe una collocazione dov'è l’asterisco cerchiato, cioè tra la fine dei Quality Mass e l’inizio dei libri pregiati. 
Dico: - Ah, non male! - E lui: - Non dovresti essere mica contenta! Questi sono i libri che si vendono poco o niente! Per guadagnare bene dovresti essere al centro…- Mentre medito sulla possibilità che il mercato mi voglia a tutti i costi postuma, lui mi dice che in ogni caso la loro agenzia tratta un target di età più basso del mio (età del lettore, non età dell’illustratore, che avete capito!) e quindi non potrebbero rappresentarmi in ogni caso.

Mi consolo strada facendo con una busta di patatine, torno a casa e trovo nelle mail la risposta ad una delle mie migliaia di applications per part-time di ogni genere; mi danno appuntamento per un’ interview: Food & Beverage  Associates,che suona benissimo e vuol dire Barman/cameriera (no, di nuovo?).

Si tratta di un importantissimo centro fitness,uno di quelli Luxury. Realizzo subito che non potrò fare affidamento sul mio fisico da urlo per impressionare l’interviewer.
Sedute su costosi divanetti, luci basse, arredamento ricercato, musica “thunz-thunz” in sottofondo, cominciamo la chiacchierata. 
Mentre la manager (italiana) mi spiega (in inglese) che il cibo e le bevande che servono sono assolutamente healty, no sugar and fat-free, io sorrido e trattengo impercettibilmente il respiro per tentare di nascondere (invano) la mia dipendenza da carboidrati e grassi. 
Mento spudoratamente su quanto mi piacerebbe fare un lavoro a contatto col pubblico. 
Mi guardo intorno: sono in armonia con l’ambiente come uno sgabello dell’Ikea in un salotto Rococò…
E anche quest’interview finisce, breve e indolore. Non mi chiameranno e io lo so, l’ho capito nei primi 30 secondi.

Dopo il magico mondo del fashion e quello del fitness mi chiedo in quale altro ambiente confortevole potrei cercare lavoro. Potrei lavorare in una discoteca, occuparmi di alta finanza, di armi, agente segreto?
In quel momento non so che di lì a poco comincerò una breve, intensa, ma decisamente “brillante” carriera.

Ve lo racconto nel prossimo post.

mercoledì 23 luglio 2014

Caro Piccolo Editore...

immagine Nonconferenza Scribarà. Fiera del Libro Torino 2012. monicauriemma
© Monica Auriemma

Caro Piccolo Editore,

ti scrivo perché il ricordo di te mi è arrivato improvviso, come una mosca fastidiosa. Mi hai mandato una mail l’anno scorso dopo che non ci sentivamo da quanto? 7,8 anni? La nostra unica collaborazione risale a quando ti regalai una tavola per un’iniziativa in favore di qualcuno o qualcosa, una di quelle cose interessanti che ti piace organizzare.
Senza nemmeno un: come stai? (scusa, sarò vecchio stile, ma un minimo di buone maniere…) Mi hai chiesto la disponibilità a fare una prova a colori per un albo illustrato, allegandomi testo e misure, senza aggiungere altro. Ti ho scritto che non potevo rispondere alla tua domanda se prima non avessi avuto delle informazioni necessarie, e cioè: la prova era pagata? E se sì, quanto? Nel caso fosse risultata positiva, che tipo di contratto mi aspettava?
Non so voi come la pensate, ma se uno viene a chiedermi di fare una prova per un possibile lavoro, probabilmente in competizione con altri, dovrà pur dirmi cosa mi promette in cambio.

Mi hai risposto che la prova era gratuita (ma va?) e che per un albo di 24 pagine più copertina era previsto un anticipo sui diritti che, con una serie di calcoli elaborati sono riuscita a quantificare intorno ai 250€  (ma avrei potuto sperare di arrivare addirittura a circa 400€ se ci fosse stato un boom di prenotazioni). “Il mercato non ci consente di più”. 
Un affarone. 
Con un premio così goloso come avrei potuto rifiutare? 
Ma, guarda, adesso che mi hai aperto gli occhi su questo paradiso, corro subito a impiegare gratuitamente il mio tempo, il mio talento, la mia esperienza, mi studio il testo, creo i personaggi, elaboro lo stile adatto al racconto, e ti creo una bella tavola per sbaragliare la concorrenza, così forse (e dico forse) sceglierai me ed io lavorerò per più di un mese per avere la mia bella PUBBLICAZIONE (pagata 250€, ma posso sempre sperare nel boom…)!

Caro Piccolo Editore, non è tanto la miseria che mi proponi che mi stupisce, so che girano pochi soldi; è il fatto che tu ritenga così straordinariamente appetibile che io pubblichi con te a queste condizioni, da considerare normale che io accetti di mettermi in gara. E’ il fatto che ti manchi un po’ di pudore, nel propormi l’improponibile
Almeno un poco. 
Non sono venuta a cercarti io, mi hai cercata tu. Ma perché? 
Hai pescato un nome a caso nell'elenco degli Illustratori Sfigati? O hai visto come lavoro? Ti interessa il mio stile? E allora perché dovrei fare una prova? O meglio, perché dovrei farla visto che praticamente in cambio mi dai poco e niente? Chi credi di essere? Pensi che il tuo solo nome sia di per sé così attraente? Ho avuto a che fare con tanti editori, qualcuno mi ha imbrogliato, non pagato, o è sparito all’estero. A volte ho lavorato per poco. Ma almeno, quelli con cui ho accettato di continuare a pubblicare erano Editori con cui avevo un rapporto di amicizia, di reciproca comprensione delle difficoltà, e hanno avuto sempre l’umiltà di dirmi: ci piacerebbe che il lavoro lo facessi tu (e quindi non ti mettiamo in competizione, perché sappiamo come lavori), ma ci rendiamo conto che la cifra è bassa, perciò capiremo se rifiuterai. Ecco, a volte basta poco, sai…

Caro Piccolo Editore, ho trascorso il mio ultimo anno in Italia a lamentarmi in pubblico e in privato di quelli che si comportano come te. 
A volte penso che un po’ di coerenza, uno nella vita la debba avere: per esempio, se mi lamento della corruzione come minimo non dovrei farmi corrompere, se mi lamento della svalutazione del mio mestiere, come minimo dovrei provare a non svalutarmi troppo, anche se sto con l’acqua alla gola, in un paese straniero, e rischio di uscire fuori dal mercato. 
Perciò sappi che ho deciso di permettermi il lusso di non pubblicare albi, il grande lusso di rifiutare offese alla mia dignità di lavoratrice nella speranza (nell’illusione?) che qualcun altro alzi la testa per non far affondare definitivamente un mestiere così bello come quello dell’illustratore. E non parlo degli esordienti, quelli li capisco troppo bene, ma i professionisti che pubblicano parecchio… se capissero che una loro scelta forse può cambiare le cose, che non è tutto inutile, che non si deve per forza dire sì pur di pubblicare… (ma in fondo chi sono io per giudicare le scelte altrui? È già tanto se riesco a prendermi la responsabilità delle mie).
Ti ho risposto comunque che questo è il mio mestiere e che ritengo impossibile lavorare professionalmente un mese (o anche due) per guadagnare 250€, più pochi spiccioli un anno dopo. Questa è la ragione principale per cui mi sono sradicata dal mio Paese, ho lasciato i miei affetti e sono emigrata. Non ti ho scritto che pur di non lavorare così, preferisco fare le pulizie, l’avresti creduta una battuta, non avresti capito che è una scelta che ho realmente fatto.
Quindi ti ho fatto un preventivo e ti ho detto che non credendo ci fossero margini di trattativa, ti facevo il mio in bocca al lupo per tutto. Sapevo per certo (e te l’ho scritto), che avresti trovato qualcuno disponibile.
Sono stata educata, no? Ovviamente non mi hai risposto, com’è nel tuo stile.

E’ passato un anno. Tu quel libro lo hai pubblicato, e vari altri, qualcuno con nomi dell’illustrazione veramente importanti. Ma guarda!
Ora due sono le cose: o hai fatto loro la stessa proposta che hai fatto a me (e spero proprio di no perché allora il nostro mestiere in Italia è davvero finito); o in qualche modo “il mercato” ti ha permesso di spendere ben altro. 
Io invece continuo per la mia strada, lavoro come illustratrice qui in UK, e anche se non posso dirmi affermata, ti assicuro che le cifre che mi hai proposto sono fortunatamente solo un brutto ricordo
Non credo che Piccolo Editore sia il titolo più appropriato.

Solo Piccolo potrebbe bastare.


lunedì 14 luglio 2014

Si corre! (Ancora?)

praticare running in Uk - monicauriemma
Lo so che ho già parlato di corsa (qui), è che sono in  piena fase di fascinazione...

Ho deciso che delle abitudini inglesi voglio prendere il meglio (o almeno, quello che più mi attrae), perciò, se non riuscirò mai a scolare birra al pub (sono astemia) o sorseggiare tè (che proprio non mi va giù), mi farò contagiare volentieri da picnic al parco, feste mascherate, filantropia, buone maniere, e dalla corsa. 
Qui d’estate c’è una corsa, una camminata, una gara benefica in favore di qualcosa in ogni angolo, manifestazioni piccole e grandi che coinvolgono centinaia di persone. 
Quando la mia amica Aurora Cacciapuoti, illustratrice “inglesizzata” molto più di me, mi ha consigliato di seguire il programma dell’ NHS (National Health Service, il Servizio Nazionale per la Salute) chiamato Couch to 5K, letteralmente “dal divano a 5 kilometri”, le ho risposto: "Ragazza, ho molti chili e anni più di te, l’artrite, fiato zero, mi slogo le caviglie come se niente fosse, no, grazie".
Poi ho letto che il programma è stato messo a punto da un runner che voleva smuovere la madre 50enne dal divano e ho cambiato idea. Tanto per spiegarci, il primo allenamento prevede dopo il riscaldamento, 60 secondi di corsa alternati a 60 di camminata veloce, una cosa veramente minima, ma provate se siete absolute beginners e quei 60 secondi vi sembreranno eterni. L’obbiettivo è arrivare a sostenere 5 km di corsa (circa mezz’ora) in 9 settimane. So che 5 km per un runner sono una bazzecola ma credetemi, per me anche 100 metri per prendere il bus in corsa erano una distanza impossibile.

Correre è lo sport più economico in assoluto, l’unico investimento sono le scarpe, così ne ho prese un paio in saldi e ho scaricato i podcasts dell’ NHS su cellulare. La voce calda e rassicurante di una certa Laura (o come dice lei: LOWA) ti guida per tutto l’allenamento, insieme a brani pop (niente di sofisticato ma col ritmo giusto), dai testi allegri e incoraggianti. Mentre sudi e affanni, senti cose tipo: “Follow me in the sunshine” o “just live your life and shine”, “It’s a beautiful day” ecc…
Laura sembra sapere esattamente quando ti stanchi e ti sprona gentilmente. È molto diversa da quei coach (“allenatori”, non “divani”, io confondo sempre coach con couch, sarà un lapsus freudiano…) che vedi in televisione fare aerobica.  Loro ti incitano energicamente. Lei è così dolce che a volte non ho mollato per cortesia nei suoi confronti. Inglese pulito e chiaro, spesso mi sorprendo a risponderle. 
-So che a questo punto potresti sentiti veramente stanca ma ti prego di continuare
E sono stanca sì! Ma se proprio insisti… 
oppure 
-Sei a metà percorso, perché fermarti? Sei andata così bene finora!
- Ma davvero? sono stata brava?, 
-Non importa quanto tu vada piano, tieni un passo che ti faccia sentire a tuo agio- 
e io vado così piano che forse sarei più veloce se camminassi. Molti corridori mi sorpassano agilmente, mentre io una volta ho fatto fatica a superare una donna anziana, sul quintale e col bastone! Ma non mi interessa vincere nessuna gara, questa sfida è solo con me stessa. Sono alla sesta settimana, non ho perso neanche un chilo ma sto ricominciando a sentire che il mio corpo mi risponde. Questo è meraviglioso.
A volte sento scariche elettriche nelle gambe: 
- Quanto mancherà? 
Ed ecco Laura: 
- Solo cinque minuti 
- Dai, solo cinque, ahnf ahnf, ce la posso fare… - 
Ad un certo punto dell’allenamento riesco a rilassarmi e mi godo il parco: questo albero ha messo foglie nuove, qua hanno piantato fiori gialli, guarda quel cane che insegue uno scoiattolo! E poi facce: le facce degli altri runner, contratte e rosse dalla fatica, sorrido di solidarietà, conosco questo sforzo.
Comincia a piovere, e il mio cervello tarato a Napoli registra:
- Pericolo! Vatti a riparare! -
Cerco di assumere  l’imperturbabilità inglese, mentre dentro sono in pieno conflitto: 
- La pioggia non è un problema!
- Ma cavolo, mi sto bagnando!
La pioggia non è un problema, ho detto! 
Ecco il primo grande successo,continuare a correre nonostante il tempo. Certo, siamo ancora in estate, quest’inverno la vedo dura…

Alla sesta settimana ho completato i miei primi 25 minuti di corsa continuata. Mai successo in vita mia. 
Laura mi da una simbolica pacca sulla spalla: 
- Non credevi che ce l’avresti fatta, ma guardati ora, devi essere orgogliosa di te 
- Tu sì che mi capisci, Laura, vuoi essere la mia migliore amica? 
Ripenso a quella bambina che odiava la ginnastica, arrivava ultima in qualsiasi gara e veniva presa in giro perfino dalla prof di educazione fisica (mi chiamava “mozzarella” e non ne ero molto orgogliosa). Nella mia testa sequenze di film: mi sento Forrest Gump e poi Rocky Balboa, la musica di Momenti di Gloria… Ok, devo avere le visioni da estasi sportiva, ma non mi interessa, alzo i pugni al cielo (menomale che non mi vede nessuno) e piango, e rido, tanto.

Se qualche temerario divano-dipendente volesse cominciare l’ardimentosa impresa, ecco il link dell' NHS. 


Forrest Gump