martedì 16 febbraio 2016

Di Bianconigli, Pesci Volanti e Tempo che fugge


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“Oh dear, oh dear, I shall be too late…”


Sono alla British Library, ad una mostra per i 150 anni di Alice, venuta ad incontrare il Bianconiglio e chiudere alcuni conti in sospeso con lui.

Non so quando è cominciato tutto questo, so che ad un certo punto ho iniziato a vederlo ogni volta che mi guardavo allo specchio, con l’orologio in mano e lo sguardo ansioso. Quello sguardo è diventato il mio.

La sindrome del Bianconiglio (pare esista davvero!) mi fa percepire sempre in ritardo, fin dal risveglio, il tempo, semplicemente, mi manca
Le ho provate tutte per incastrare gli impegni: leggere le mail sul gabinetto, sbrigare le faccende di casa mentre avvio le stampe, alzarmi alle 5.30, ma non basta. 
Esco pochissimo, vado sempre di fretta, non mi concedo riposo. E ancora non basta.

Metti che consideri il tempo come un contenitore rigido, e che tutto quello che dovresti infilarci non ci va, allora procedi per eliminazione. 

Metti che sei cresciuto a pane e "PRIMA il dovere e POI il piacere", è facile intuire cosa sacrificherai: non ti dedicherai a cose che ti fanno semplicemente stare bene, perché ti sentirai in colpa, perché avresti altri cento doveri da compiere; il tempo del piacere è tempo sprecato, tempo perso…

Metti che decidi di andare a vivere in una megalopoli con ritmi difficili da sostenere per chiunque, ovviamente le cose si aggravano; il tanto agognato incremento lavorativo ti porta via altro tempo, ti spreme anche i secondi, e tu non sai più dove sei, davanti allo specchio solo uno sguardo preoccupato ed un enorme orologio. Il Bianconiglio diventa l’immagine con cui ti descrivi, la tua metafora personale, e questo non ti sembra grave, perché in fondo è un personaggio così buffo, eppure lo è…

Su, adesso non vi deprimete per me, (e per voi, se vi sentite così) se ne può uscire, credo. 
Basta essere abbastanza stufi della situazione e un po’ disponibili a cogliere i segnali che ti passano davanti. Io avevo bisogno di essere con le spalle al muro per cambiare, Londra mi serviva.


Settimane fa mi ero concessa una serata con amici (non uso il termine a caso, mi ero “data il permesso” di fare qualcosa che mi desse gioia, ma solo perché avevo appena consegnato un libro). C’era il festival Lumiere London, una serie di installazioni sparse per il centro della città, che con la luce creavano immagini potenti e poetiche, e lì mi ritrovo faccia a faccia con una piccola “illuminazione” personale: 
Les Luminéoles, due creature leggere e luminose, due specie di pesci volanti,  fluttuavano tra i palazzi ancorate da cavi invisibili. 
A terra una specie di fiore di loto. 
Resto alcuni minuti col naso all’insù e la bocca spalancata.

Un’amica mi chiede: -Vuoi reggere il cavo? - Cavo? Cosa? Sì!!!-. Faccio la fila incurante di essere l’unica adulta a voler fare quel gioco, per pochi secondi mi ritrovo a tenere un filo che mi collega alla creatura luminosa e sento una specie di forza potentissima che mi spinge verso l’alto. Se mi lasciassi andare potrei volare, penso, e l’emozione prende il sopravvento.

Se mi lasciassi andare, se solo mollassi un po’, se non mi inchiodassi a terra da sola, potrei volare…

Ma come fare? Da dove cominciare? Poco prima, durante una chiacchierata, il mio compagno mi aveva detto: -Hai notato quante volte nella giornata dici: non ho tempo? Lo dici continuamente, dovresti smetterla…-  No, non avevo notato…

Io sono convinta che le parole siano importanti, che abbiano un peso, una sostanza (senza entrare nei meandri della PNL). Se non lo fossi, non avrei abbracciato una religione che ha come pratica principale la recitazione di un Mantra. Parole. Importanti.
Sono convinta che quello che ci viene ripetuto continuamente, per anni, ci influenzi (“prima il dovere…”) e che le parole che usiamo spesso, creino solchi profondi in noi, nei quali ci ritroviamo a girare. 
Dalla descrizione di una realtà oggettiva alla “creazione” di una realtà interiore. Parole, immagini, metafore.*

Forse potevo iniziare da qui. Quella sera e i giorni seguenti non ho fatto altro che parlarne con amici e parenti e ho maturato alcune decisioni:
Se “non ho tempo” è diventato un piccolo mantra negli anni, ho deciso di sostituirlo con “ho tutto il tempo che mi serve”, a costo di sembrare scema.
Se per anni mi sono vista come il Bianconiglio, adesso voglio scegliere una creatura più leggera, e soprattutto meno ansiosa, un pesce volante non mi dispiacerebbe.

I primi risultati sono già arrivati.

Oggi per esempio ho scelto di passare mezza giornata da sola al museo, a farmi travolgere dalla bellezza dell’arte, pranzare con calma,  prendere appunti per il blog e fare minuscoli schizzi per questo piccolo ritratto.

Per dirti quanto ti ho amato, my dear, e che avrò piacere di vederti ogni tanto, ma è tempo di volare.


* Un libro che mi ha dato molti spunti di riflessione: Tutta un'altra vita, di Lucia Giovannini

mercoledì 10 febbraio 2016

The Honey-Guide Bird. Two traditional tales from Africa (part two)



Avevo promesso (anzi, avevo minacciato) di raccontare la seconda storia del libro uscito per HarperCollins, ed ecco a voi “Monkey’s Heart”.
Siamo in Sudafrica, in una vasta zona detta Wetland, la terra umida, dove vive Monkey, un piccolo cercopiteco. 
Le piace parlare con i coccodrilli perché dice che anche se sembrano feroci, di loro ci si può fidare (specialmente quando hanno la pancia piena), e tirare la coda agli ippopotami, che sembrano gentili ma quando si arrabbiano bisogna essere veloci a scappare.
Se già Honey-Guide Bird mi era simpatico (sono alta un metro e mezzo, devo tifare per i piccoletti), di Monkey mi sono letteralmente innamorata. Non solo è piccola, ma è completamente fuori di testa. Il suo migliore amico è Shark, lo squalo con cui intrattiene amabili conversazioni dai rami del suo albero preferito, uno di quelli che crescono tra la sabbia e il mare.

Lui le racconta dei suoi viaggi, di Barriere Coralline e pesci colorati, di quando ha inseguito le balene e viaggiato accanto ai pescherecci dei Mari del Nord, lei ascolta estasiata, e sente che la sua vita è limitata.
Monkey vorrebbe viaggiare, conoscere il mondo, e comincia a sentirsi triste. Le sue amiche cercano di metterla in guardia: “Cosa ti abbiamo sempre detto di Shark? Non fidarti del suo sorriso e delle sue storie. Vanno bene per lui ma non per te. Tu appartieni agli alberi!
Il giorno dopo i due amici si incontrano per le solite quattro chiacchiere. “Ehi, qual è il tuo cibo preferito?” chiede Shark con un sorriso a centocinquanta denti. “A me piacciono le sardine, ce ne sono un sacco nel Wetland, per questo mi piace vivere qui. Ah… e ovviamente perché amo la tua compagnia!
Monkey non aveva mai mangiato cibo straniero ma l’estate scorsa una rondine le aveva portato alcuni cuori di palma dallo Zanzibar, dolcissimi e deliziosi. “Ecco, questo è il mio cibo preferito!” dice prima di salutare Shark, che è in partenza per un’altra meravigliosa avventura.

La vita di Monkey procede tranquilla tra gli alberi finché un giorno, mentre è lì a osservare i cuccioli di tartaruga che appena usciti dalle uova camminano fino al mare, sente il sibilo di Shark alle sue spalle.
Eccitanti novità! Ho trovato alcuni cuori di palma! Salta sulla mia schiena e ti porto lì!”.
Un’avventura col suo miglior amico a caccia del suo cibo preferito. Monkey non ci pensa su due volte. Con tre balzi è in groppa a Shark pronta per partire.


Lo squalo nuota veloce ma Monkey si sente al sicuro aggrappata alla sua pinna. 
Ben presto il Wetland scompare alle sue spalle.
Che importa! La vista sull’oceano è mozzafiato!

Avevo pensato di fare uno scambio con te” sussurra Shark con voce suadente. 
Un delizioso cuore di palma in cambio del tuo cuore. Che ne dici?” 



Monkey ha un brivido di terrore. Circondata dall’immenso oceano, si sente molto piccola e stupida per essere cascata nel tranello, e molto lontana da casa.


Ma a volte il pericolo tira fuori le nostre migliori risorse. 
Oh, certo che sembra un buon affare. Ma avresti dovuto accennarmelo prima di partire, perché, vedi, il mio cuore è così prezioso che lo lascio sempre sui rami del mio albero, per tenerlo al sicuro. Senti qua, se fai dietro front in questo momento possiamo andare a recuperare il cuore e concludere lo scambio. Sei veloce, saremo lì in un batter d’occhio.

Shark non è affatto contento di come procede la faccenda (tra l’altro ha anche  fame) ma non ha altra scelta che tornare. 
Appena sono abbastanza vicini Monkey con un balzo salta sul primo ramo disponibile.

Dai, lancia il tuo cuore!”grida Shark, ma Monkey, ormai al sicuro risponde: “Tu avrai pure viaggiato in lungo e in largo, ma io sono più intelligente di te, e non scambierei il mio cuore nemmeno per tutti i cuori di palma di Zanzibar!

Beh, ce l’hai fatta Monkey. E ce l’avete fatta anche voi a leggere fin qui!

Quanto a me, a parte la fatica e la gioia di disegnare, mi è rimasto un bagaglio di bellissimi incontri virtuali:
per esempio ho conosciuto i coraggiosi cacciatori di miele africani, che si arrampicano senza imbragature ad altezze vertiginose accompagnati dai preziosi uccellini-guida;  
ho scoperto che i cercopitechi hanno una gamma di espressioni praticamente umane;
ho conosciuto le magnifiche, lussureggianti mangrovie, che crescono sulle spiagge e affondano le radici nell’acqua del mare;
che i coccodrilli si fanno pulire i denti da uccelli spazzolino senza mangiarli, e che gli ippopotami hanno veramente un caratteraccio;
e infine ho preso un po’ di confidenza con lo squalo, che non è precisamente il mio animale preferito, ma essendomi dovuta sacrificare a rivedere i disegni di “Shark Tales” e “Alla ricerca di Nemo” per prendere ispirazione, direi che ne è valsa la pena.

mercoledì 3 febbraio 2016

The Honey-Guide Bird. Two Traditional Tales from Africa (part one)

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E’ appena uscito per HarperCollins, The Honey-Guide Bird scritto da Deborah Bawden e illustrato da me. 

Dopo tanta scolastica è il primo storybook col mio nome in copertina pubblicato qui in UK. 
E’ piccolo (formato A5, cavolo quanto è piccolo, io le tavole le avevo disegnate A3!) però sono molto contenta, perciò siate clementi…

Si tratta di due racconti tradizionali africani. 
Volete conoscere la prima storia? (No? ok, guardate solo le figure…)

Provo a raccontarla in italiano. Siamo nello Zimbabwe. “Nonna! Temba non mi fa giocare con lui perché dice che sono troppo piccolo!”singhiozza Kuda. “Troppo piccolo?! Oh, che ragazzo sciocco! Tuo fratello non ha mai sentito parlare del piccolo Honey-Guide Bird che si vendicò del potente cacciatore Shaka?”
Kuda sa che sta per cominciare una delle meravigliose storie della nonna, si asciuga i lacrimoni e si mette in ascolto. 
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E così scopriamo chi sono gli Honey-Guide Birds, gli Uccelli Indicatori, una razza di uccellini molto presenti in Africa, capaci di scovare alveari nascosti e indicarli ai “cacciatori di miele” (confesso che ignoravo completamente l’esistenza  sia della caccia al miele sia degli Uccelli Indicatori). 
Loro fanno da guida, i cacciatori  si procurano il favo e in cambio ne danno un pezzetto come ricompensa. Un ottimo sodalizio d’affari che pare duri da millenni. 
Ma attenzione a non tradire i patti…
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La storia comincia una bella mattina di sole, quando il nostro Honey-Guide Bird richiama l’attenzione del cacciatore Shaka con il suo verso. 
Shaka (bravissimo, per carità, grande cacciatore ma, diciamo, un po’egocentrico) si arma di lancia, sacchetto per la raccolta e segue l’uccellino fino ai piedi di un albero di fico.

Qui accende un piccolo fuoco e ci infila un bastone dentro finché la punta non diventa incandescente. 

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Quindi comincia l’arrampicata, concentrato sul dolce bottino che lo aspetta.
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Arrivato al favo usa il bastone per cacciare le api (povere care api sfrattate…) e impadronirsi dell’alveare.



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Ma una volta disceso, scaccia in malo modo l’ Honey-Guide che svolazzava lì intorno in attesa della ricompensa : “Sciocco uccellino. Pensi che abbia intenzione di condividere il miele dopo aver fatto io tutto il lavoro difficile? Che puoi fare contro di me? Sei così piccolo e io sono un fiero guerriero!”

In effetti, cosa poteva fare? Aspettare e pazientare. 
Per un po’ di mesi rimane ad osservare il cacciatore da lontano. Poi un giorno gli fa il solito verso. Shaka si arma immediatamente, convinto di poter approfittare ancora della guida (perché in fondo è solo un uccellino, pensa lui…).


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E così i due arrivano ai piedi di un altro altissimo albero di fico, il favo non si vede ma Shaka sa che gli Honey-Guide Birds non sbagliano mai.

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Immaginate che bella sorpresa quando invece del favo si ritrova davanti al faccione di un Leopardo che dormiva beatamente! 
Fortunatamente il leopardo è sorpreso quanto lui, per cui molla una zampata a caso senza colpirlo, ma Shaka perde la presa del ramo e precipita su un rovo di spine. 
Risultato: un bel po’ di punture che guariranno presto ed una lezione di rispetto che non dimenticherà mai.

“Perciò”, conclude la nonna, “mai giudicare qualcuno dalle sue dimensioni!” e brava la nonna!

La volete sentire la storia di Monkey e Shark? Ve la racconto la prossima volta…


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