giovedì 26 giugno 2014

L’Estate londinese e un curioso animaletto.

Da leggere possibilmente ascoltando la sigla di Super Quark


La Monica Mediterranea è un curioso animaletto diurno a sangue caldo, che però non si adatta alle alte temperature tipiche della sua terra, il calore le provoca abbondanti sudate e cali di pressione. 
La sua pelle chiara è costantemente a rischio ustioni, per questo nella bella stagione è rarissimo incontrarla  in spiaggia nelle ore calde. Se questo accade, puoi notare la Monica Mediterranea correre ovunque ci sia un pezzetto d’ombra o un riparo dal sole. 
Pur essendo attratta dal mare è incapace di nuotare, per cui si limita a rinfrescare le sue zampette sulla riva.

Ama però la luce più di ogni altra cosa, il buio è il suo nemico naturale, di sera corre a rifugiarsi nella sua tana, altrimenti cade in letargo ovunque si trovi, anche alle feste.

Di recente un esemplare della Monica Mediterranea è migrato in Gran Bretagna, paese nordico dal clima atlantico, che nel periodo primavera-estate offre un’abbondanza di luce straordinaria. 
A Giugno il sole sorge circa alle 4,30 e tramonta verso le 22, con una temperatura media che oscilla tra i 17 e i 25°. 
Gli effetti benefici sono stati presto notati dai ricercatori. L’esemplare si mostra costantemente di buon umore, sembra che riesca a far scorta di energia per il lungo, buio inverno. 
Puoi incontrare la Monica Mediterranea in giro alle 6 del mattino, senza motivo apparente, semplicemente sveglia e pronta per una nuova giornata che si concluderà al tramonto. 
Essa è a suo agio in un clima da molti considerato ostile. Le precipitazioni regolari e abbondanti infatti mettono a dura prova tutti gli esemplari della fauna locale, eppure il nostro animaletto resiste pur di godersi un’estate luminosa, fresca e senza zanzare. 
Non è raro in questo periodo avvistarla nei parchi pubblici con le cuffie nelle orecchie e sentirle emettere strani versi che lei definisce “cantare”

I ricercatori concludono che, con un paio di brevi migrazioni verso i paesi caldi durante il periodo invernale, essa potrebbe aver trovato il suo habitat ideale. 

lunedì 16 giugno 2014

Trooping the Colour: Auguri Bettina!

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Davvero non capisco perché dovrei alzarmi alle 5,30 di sabato mattina per andare a vedere una parata militare, sono pure pacifista! Ma Danilo ci tiene, e poi è il compleanno di Bettina. Allora chiariamo subito che non è il suo compleanno, Queen Elizabeth Alexandra Mary (per gli amici Bettina) è nata ad Aprile, ma il suo compleanno ufficiale si celebra a Giugno in quanto il tempo dovrebbe essere migliore per una cerimonia all’aperto (poveri illusi… oggi ci beccheremo qualche goccia di pioggia, tanto per gradire).

Pare che il mio processo di “inglesizzazione” abbia bisogno di passare anche da questo; devo partecipare, sentire da vicino un entusiasmo che per me a tratti resta un mistero. Non che Bettina mi sia antipatica, per carità, brava persona, niente da dire; è che la monarchia mi sembra una cosa così anacronistica… Ho sempre la sensazione che i reali non se la spassino tanto: vita regolata da obblighi formali, non puoi metterti le dita nel naso che  finisci su tutti i giornali, vestiti ridicoli (vogliamo parlare dei cappellini???), scelte sentimentali passate al vaglio delle autorità...  Vorresti essere una principessa? no grazie. Eppure la gente guarda, ammira e sogna, la famiglia reale inglese in particolare gode di un affetto, se non incondizionato, almeno largamente condiviso. Una volta ci hanno detto: “la Regina è la nostra storia”, un collante per  il Paese (e qua noi italiani siamo un po’ smarriti, il nostro paese di collante ne ha davvero poco…)


Quindi è deciso: si va. Armati di sgabellini per riposarci durante l’attesa e decisi ad occupare posti in prima fila lungo The Mall, il vialone che porta a Buckingham Palace dove si svolge la parata, arriviamo in zona intorno alle 7,30. Tre ore prima! Eppure dietro le transenne sono appostati i primi gruppetti di persone.
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La strada è addobbata di bandiere. Comincio ad avere fame, mi guardo intorno: nessun venditore di generi di conforto, se fossi stata a Napoli avrei avvistato almeno una ventina di ambulanti abusivi-autorizzati con cappellini, trombette, cocco fresco, panini, bibite, “Accattateve a bbandiera r’a Riggina!”, eh, beh… qui siamo a Londra, gente seria, mi dico. 
Osserviamo gli automezzi in movimento. Un muletto trasporta materiale su e giù lungo la strada, il ragazzo che lo guida ci prende gusto ad essere sotto gli occhi di tutti e comincia a salutare la folla, la gente risponde, lui la arringa, ovazioni e applausi, 5 minuti di show, tutti a ridere (gente seria, dicevo…). 
Agenti di polizia ad intervalli regolari schierati verso il pubblico, che allegria questi ragazzi, tutta la mattinata immobili a guardare le nostre facce. E’ quasi ora: i miei piedi protestano vivacemente, resisti, mi dico. Cerco di fotografare qualche faccia interessante. 

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Arrivano le bande musicali, poi vari corpi armati, a piedi e a cavallo, uniformi bellissime: tanto rosso, ma anche nero e oro, passamaneria a gogò, medaglie, cerco di memorizzare i particolari ma è tutto abbastanza veloce.
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Poi arrivano loro, le star, me ne accorgo dal brusio della gente. Una carrozza, qualcuno che saluta, cappelli, piume, saluto anch’io ma non so chi, saranno parenti meno famosi. Riconosco Camilla, insieme a Kate e il principe Harry, salutano, saluto, scatto (foto mossa, acc…)
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“Arriva William, non puoi sbagliare, è su un cavallo bianco!” Quale cavallo? Dove? Scatto una foto, un tizio vestito di rosso dal cui cappello sbuca solo il naso, ma sembra il suo, insomma fidatevi, questo dovrebbe essere William, e dietro, se non ho sbagliato completamente, c’è la zia Anne, anche lei a cavallo.
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Ecco Bettina! Sfoggia un cappellino dei suoi, bianco con fiori azzurri, seduta accanto al principe consorte, sorride, chissà se oggi vorrebbe essere altrove, anche solo a poltrire nel letto, a 88 anni…
Il corteo scompare dalla nostra vista, alla fine della strada la regina passerà in rassegna i corpi armati per poi tornare al palazzo. La strada si è riempita di escrementi di cavalli, un “soave” profumo ci inonda. Mi chiedo se per una parata la strada è ridotta così, cosa doveva essere vivere in una città come Londra nell’800, quando l’unico mezzo di trasporto erano i cavalli… rabbrividisco al pensiero. Un paio di automezzi per la pulizia stradale provvedono ad un rapido lavaggio.
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I soldati in alta uniforme schierati lungo il percorso, (cappellone di pelo di orso -speriamo sia sintetico- , sorretto da un sottogola che non va sotto la gola ma sotto il labbro inferiore, una cosa che più scomoda di così non se la potevano inventare), compiono strani movimenti. Vengono passati in rassegna ed esaminati da superiori: fai tre passetti indietro, tre di lato, un’aggiustatina al cappello, salutano battendo pesantemente i piedi a terra. Ogni tanto uno si muove dalla sua postazione e si ferma a parlare con un altro. A giudicare dalle risatine che riesco a vedere non sembrano ordini ma cose tipo: “Allora, dove ce la vediamo la partita stasera?”. Fanno alcuni passi e a coppie alternate si scambiano di posto. Trovo questa coreografia assolutamente inutile, mi chiedo se non sia solo per fare scena e ingannare l’attesa del pubblico. Mi viene in mente il vecchio ordine entrato nella memoria collettiva dei napoletani, (pare sia un falso storico), che vigeva sulle navi del Regno di Napoli qualche secolo fa: “facite ammuìna” (“fate confusione”). All’arrivo delle alte autorità, tutti quelli che stavano a prua dovevano andare a poppa e tutti quelli di poppa a prua, quelli sotto coperta di sopra e viceversa, così da creare movimento e mostrare efficienza. Vorrei domandare: “Excuse me, sir, mica state facendo ammuìna?”. In ogni caso il tempo passa, il corteo ritorna, saluti, foto, gridolini isterici al passaggio dei principi, che poi scompaiono nel palazzo. Colpi di cannone. Le transenne vengono rimosse, ci avviamo (zoppicando, i miei piedi hanno dato forfait)  verso la piazza per vedere l’arrivo spettacolare di elicotteri e aerei della RAF, comprese le Red Arrows, che solcano il cielo di bianco, rosso e blu.
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La pioggerellina mi offre una luce ottima per un paio di scatti alla statua d’oro della Vittoria che campeggia nella piazza. La famiglia al completo è affacciata al balcone, sono troppo bassa per scattare qualcosa, tocca a Danilo. Sorridono, salutano composti, elegantissimi.
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Si chiudono le imposte, la festa è finita. Mi piace pensare a Bettina che fuori dal nostro sguardo, si slaccia la gonna stretta, si toglie le scarpe e accasciata sul divano dichiara: “Oh, s’è fatta l’una, che dite, cinese o pizza?”



mercoledì 11 giugno 2014

Word on the Water

word on the water, foto. monicauriemma
Nel mio girovagare alla ricerca di lavoro l’estate scorsa, avevo modo di esplorare possibilità veramente interessanti. 
Scartato quasi subito un annuncio per aiutanti-giostrai (il luna park era bellissimo, tutto old stile, ma la vita da nomade non fa per me), mi rivolgevo a negozi di giocattoli, di greeting cards, librerie .

Una in particolare mi aveva affascinato per la sua aria romantica: “Word on the Water - The London Bookbarge”
Parole sull’acqua… che meraviglia! Praticamente era una Houseboat, una casa galleggiante come ce ne sono tantissime qui, utilizzate per piccole crociere attraverso fiumi e canali o anche come abitazioni o piccoli caffè, ma questa vendeva libri. 
Quel giorno c’era un musicista che si esibiva in un piccolo concerto sul ponte.
word on the water. concerto. foto. monicauriemma

Bellissimo. 
Mi sarei fiondata di corsa: vi serve un aiuto qui? 
Ma poi mi sono chiesta: I libri e l’acqua… non dovrebbero stare lontani? E quanti giorni all’anno a Londra c’è la possibilità di esporre la tua merce all’aperto? 
Se li guardavi da vicino i libri infatti erano tutti un po’ gualciti, schizzati e umidicci, il che aggiungeva un tocco di fascino bohemienne. Ne ho comprato uno, una vecchia guida dei canali, carino, un tantino ammuffito…

Non credo che avrei fatto fortuna come assistente alle vendite, no.
Ma era bello averci pensato.
p.s. ho appena scoperto che hanno anche una pagina Facebook, se volete date un'occhiata qui

giovedì 5 giugno 2014

Improbabili Interviews n° 5. Un bell’applauso!

Maggio 2013. 
Nota catena di negozi di abbigliamento mi invitava ad un’Interview per un posto di Visual Merchandiser (vetrinista) nel loro punto vendita centrale ad Oxford Street. L’unica mia esperienza nel campo risale agli anni ’90 quando curavo l’allestimento di negozi e stands di alcune marche di abbigliamento, non è proprio lo stesso ruolo, ma, insomma, ci provo.

Ore 8,45: “Welcome to your assessment day as VM!” recita un cartello, mi aspettavo un colloquio, una tortura a tempo limitato, invece qualcosa mi dice che verrò sottoposta a prove di destrezza nelle quali ovviamente tendo a fallire, come quei tre manichini dall’aria sinistra, con un cartello: “Style me!”
Mi guardo intorno: tutte ragazze, molto giovani. Tre inglesi, il resto straniere ma qui da più tempo di me, sei lavorano già per questa company e lo si capisce da come si sentono a proprio agio (di male in peggio…)
Il supervisor, la general manager, la super/iper qualcosa e la …chennesò, si presentano brevemente con qualche battuta di spirito e ci mostrano un video di quelli motivazionali, dove capisci quanto sarà fantastico, gratificante e stupefacente lavorare per questa “grande famiglia”, ma sì, commuoviamoci tutti, sarà bellissimo essere insieme! Un bell’applauso! 

La general manager, sul quintale, nera, taglio di capelli cortissimo, liscio-riccio-rasato-ultimissima moda, ci dice: - Non siate nervose, questa non è una gara! Purtroppo, possiamo scegliere solo due di voi – due su dodici? E perché non dovrei essere nervosa? - Adesso ognuna di voi si alzerà in piedi, ci parlerà di sé, del proprio look, delle proprie scelte di moda e del suo stilista preferito. Partiamo da me… -  mentre spiega che lei si ispira a Missy Elliot e Byionce, penso: il mio LOOK??? Io e la moda non abbiamo mai legato granché; vuoi perché recito la parte di sono-un’artista-non-ho-tempo-per-le-frivolezze, vuoi per mancanza di fisico-soldi, considero la moda una cosa interessante da guardare, ma fuori dalle mie priorità. Non c’era un argomento più semplice? Tipo: l’evoluzione della gorgiera  dal ‘500 al ‘600? Quello almeno l’ho studiato! Le mie aspirati colleghe parlano di quanto il loro look sia “sexy” o “professional” e di Gucci e Prada (ma non era il Diavolo che vestiva Prada? Vade retro, Satana!). Io guardo sconsolata il mio completo blusa e pantaloni morbidi neri, unici capi con cui mi sento a mio agio perché non sottolineano troppo la panza, completati da foulard bianco e collana colorata tanto per non sembrare troppo a lutto, e comincio a sentirmi come Hugly Betty. 
Al mio turno riesco a malapena a dire che  il mio stile è “comfortable”: - Il mio stilista preferito è Armani. Ovviamente questo non è un vestito Armani – tutti a ridere… Alla fine di ogni intervento facciamo tutti un bell’applauso!

Ma ecco Giochi Senza Frontiere! (o per essere più contemporanei, Wipeout). Prime due prove: in  gruppi di 4 sorteggiati al momento, vestire un manichino in 10 minuti scegliendone il look e poi spiegarne le ragioni; allestire una parete con una tematica data da loro, in 15 minuti, sempre spiegandone le ragioni. 
Gli esaminatori osservano i rapporti di forza che si creano nei gruppi. Se cercano un leader NON lo troveranno in me, io lascio fare a quelle che sembrano più esperte, mi ritaglio ruoli gregari, soprattutto se non c’è tempo e mi cade la roba di mano. Difetto che costerà al mio gruppo un errore nell’allestimento della parete. Ci era stato chiesto lo stile Safari e io correvo a prendere abiti e accessori safari (questo almeno lo so!) mentre le altre si buttavano sull’hawaiano seguendo la leader, aggressiva abbastanza da imporsi ma troppo presuntuosa per ascoltarmi, ho lasciato fare, ho scelto le cose giuste ma la parete è risultata non coerente con il tema, sigh.

Ciliegina sulla torta, prova individuale di mezz’ora: girare tutto l’enorme store armate di taccuino, partendo dalle vetrine, tre piani interni, uomo/donna/bambino, e segnare per ogni punto visitato tre elementi di forza, tre elementi negativi e tre possibili miglioramenti (per chi volesse venire qui, prenda nota, “strength/ weakness/to improve” qua te lo chiedono sempre e ovunque). 
So che se lascerò quella stanza dei labirintici sotterranei da sola, potrebbero ritrovarmi dopo una settimana ancora a vagare spaurita nei dintorni, non devo perdermi e quindi tengo tenacemente d’occhio il gruppo delle più esperte. 
Ovviamente i miei appunti sono diversi dalla maggioranza, degli shorts esposti ne so poco, guardo l’allestimento, la scelta dei materiali, la posizione dei manichini, la grafica e le luci, (dopotutto, ero più o meno una scenografa). 
La general manager continua a ripetere: Very interesting! Good point! Ma io so che potrebbe dirlo per semplice educazione. Il Supevisor di nome Love (?): capello biondo con ciuffo lungo mi-sono-alzato-da-cinque-minuti, aria emaciata e vagamente annoiata da “Che ci faccio qui? Io dovrei fare lo stilista, altro che grandi magazzini…” Prende appunti sul suo taccuino. La tortura è quasi finita: facciamo tutti un bell’applauso! (sembra di stare ad un Talk Show…) 

Dopo una pausa in cui posso fraternizzare con le mie compagne di sventura, arriva l’interview vera e propria, una serie di domande individuali sul customer service, del quale ovviamente non ho NESSUNA esperienza, sono le due, io sono cotta, l’esaminatrice anche, vado via esausta. 
Ho pochissime possibilità. Se mi va bene dovrò lavorare tutti i giorni dalle 7 del mattino alle 4,30, vestire circa 400 manichini oltre a walls e corners vari ma farò parte di questa “grande famiglia”, vuoi mettere?


Qualche giorno dopo mi arriva una cortese mail: pur essendo rimasti tutti favorevolmente colpiti dalla mia prova (?), al momento c’erano persone con esperienza più specifica, colgono l’occasione per augurarmi il meglio. Va beh, In fondo mi sono divertita, quando ne facciamo un’altra?