London Museum of Water & Steam, il Museo del Vapore, una ex stazione di
pompaggio dell’800, a Kew Bridge.
Sono
all’esterno della struttura e già mi pregusto le foto che farò.
Datemi
ingranaggi, ruote dentate, tubi, manometri, possibilmente vecchi, e mi fate
felice. Preciso che non capisco nulla di tecnologia, nemmeno della più
elementare, ma non importa. Non mi interessa il processo, i risultati, non il funzionamento
del meccanismo ma la sua forma.
Devo aver avuto una
specie di imprinting quando ero piccola. Mio padre era progettista meccanico e
in alcuni periodi lavorava fino a tarda sera nella stanza dove dormivo insieme
ai miei fratelli. Non c’erano i pc allora (ebbene sì, signori, c’è stato un
tempo in cui le cose si facevano senza pc o smartphone…), ma un enorme
tecnigrafo sul quale erano incollati strati e strati di
fogli lucidi disegnati a matita.
Un universo di linee tratteggiate, frecce,
quote, sezioni di pezzi meccanici.
I fogli si spostavano e i pezzi
combaciavano, ruotavano, si incastravano l’uno nell’altro. Era uno spettacolo
bellissimo. Mai più dimenticato.
Ma sto divagando. Dunque
sono al museo, le persone che mi accompagnano devono incontrare una dei vari
artisti che ha lo studio all’esterno
della struttura. Di lei non so nulla, se non che si chiama Shelley.
Ed ecco che da una porta
buia in una parete di mattoncini sbuca una figura imponente in gilet di pelle e
scarpe antinfortunistiche.
Molto più alta di me (ma per questo ci vuole poco…),
capelli bianchi con una sfumatura bionda alle punte, raccolti in una coda,
sguardo penetrante, azzurro, vivacissimo, bel sorriso da cui spuntano denti
d’oro, mani nodose.
Non mi stupirei se avesse una benda sull’occhio e una pistola
al cinturone.
Il maglione che porta
sotto il gilet è bucato vicino alle maniche.
Sono le scintille.
Shelley Thomas è una Blacksmith, una donna fabbro, ella domina
il fuoco, usa la forza, una tecnica millenaria, piega i metalli al suo volere
per creare grandi cancellate o piccolissimi monili.
E questo è un personaggio! Mi serve! comincio a pensare…
I miei amici parlano con
lei di workshop sui gioielli, io li ascolto appena, resto col mezzo sorriso
ebete e lo sguardo fisso su di lei a cercare di imprimere nella memoria i
particolari, gli anelli alle dita, una strana spilla appuntata al gilet,
probabilmente una sua creazione… non dico una parola, ho una sola domanda come
un mantra in testa: “Can I take a
picture? Can I take a picture? Can I take a picture?...”, posso fare una
foto? Non ho il coraggio, non ci conosciamo, mi prenderà per matta (e non
sbaglierebbe di molto).
Ci salutiamo e io faccio i miei scatti al museo ma una
volta a casa corro a cercarla sul web.
E trovo strane sculture, letti steampunk, ciondoli con ingranaggi di orologi, cuoricini e pietre semipreziose.
Soprattutto trovo l’elemento mancante
per il disegno che ho in mente, il super-tecnologico casco protettivo che usa
per lavorare, in una bella foto sul suo sito.
Ecco qua, glielo piazzo
in testa. Shelley The Blacksmith è completa.
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