...e togliete quel telefonino a Babbo Natale!
mercoledì 23 dicembre 2015
mercoledì 11 novembre 2015
“…Ma sono mille Papaveri Rossi” - Remembrance Day
La mia idea della guerra
me la sono formata con Fabrizio De Andrè.
Non è che sia cresciuta in una
famiglia di anarchici o figli dei fiori, i miei genitori nel ’68 più che a manifestare per pace e amore, erano occupati
a farmi nascere e a tenere insieme una famiglia, ma insomma, respiravo quell’aria
lì.
Più che i libri, i racconti di mio padre sui bombardamenti, la scuola, io
avevo La guerra di Piero*, una canzone, a spiegarmi l’assoluta stupida,
inutile crudeltà della guerra:
“…dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce”.
“…dei morti in battaglia ti porti la voce,
chi diede la vita ebbe in cambio una croce”.
Da quando sono in grado di elaborare
opinioni sulle cose ho pochi punti fermi ed uno di questi è il rifiuto della
violenza, dell’uso delle persone come fossero pedine, e per estensione, l’antipatia
verso eserciti, gerarchie, ordini, posti di comando.
E’ un fatto viscerale, non
mediato dalla ragione, posso dire che ce l’ho nel sangue.
Uno dei (pochi) dubbi che
avevo nel pensare di emigrare qui in UK era l’attitudine secolare di questo
popolo alla guerra, la Gran Bretagna è uno dei paesi occidentali che tende a “mostrare
i muscoli” quando c’è da risolvere questioni internazionali, e io ho sempre
visto questo fatto con preoccupazione. Non c’è molto da fare, è la loro storia,
è l’eco dell’Impero dissolto da poco, posso dire che ce l’abbiano nel sangue.
Poco dopo il mio arrivo,
nell’Ottobre 2012, cominciai a notare per strada, alcuni individui che
indossavano una spilla a forma di fiore rosso, pensai allo stemma di un club,
ma più i giorni passavano, più notavo persone con decorazioni o spille con
questo strano fiore rosso.
Cercavo di individuare dai loro volti una qualche
appartenenza, ma erano giovani, anziani, uomini e donne, di vari ceti sociali.
Quando cominciai a vedere in televisione giornalisti, attori e presentatori con
la spilla mi allarmai. Cos’è, una specie di setta segreta? Stiamo per subire un’invasione
aliena e verranno uccisi solo quelli non “segnati” dalla spilla? Qualcuno mi
disse: “ma tra poco è il Poppy day!”, e io non sapevo che il papavero (poppy) era
il simbolo dei soldati caduti in guerra, la canzone che mi aveva formato mi
tornava in mente…
Durante la prima guerra
mondiale John McCrae scrisse la poesia In Flanders Fields (Nei
campi di Fiandra) dove si parla di papaveri che sbocciano tra file di croci,
ecco perché da allora il Papavero divenne simbolo del Remembrance day, il giorno
dei caduti in guerra, che cade l’undicesimo giorno, dell’undicesimo mese di
ogni anno. Alle 11 del mattino si osservano due minuti di silenzio perché a
quell’ora ci fu l’armistizio nel 1918.
E’ che gli inglesi (guerrafondai,
imperialisti), hanno la capacità di usare i segni, di coltivare la memoria, di
celebrare e sentirsi uniti nei simboli che mi lascia sempre senza fiato. C'è della poesia in queste manifestazioni composte, che mi affascina.
L’anno
scorso, durante le celebrazioni per l’anniversario della Prima Guerra Mondiale,
la Torre di Londra fu letteralmente invasa da un’istallazione di 88.246
papaveri rossi di ceramica (il numero dei soldati morti), uno spettacolo visivamente
eccezionale (potete trovare alcune immagini qui).
E così io resto acerrima
nemica della guerra, e trovo che non ci sia molto da celebrare, ma i morti, i
morti di tutte le guerre, quelli che continuano a morire per eseguire degli
ordini, o perché semplici vittime, quelli li voglio ricordare, e pregare in
silenzio per loro, oggi, alle 11.
"Dormi sepolto in un
campo di grano, non è la rosa non è il tulipano, che ti fan veglia dall’ombra
dei fossi, ma sono mille papaveri rossi"
* "La guerra di Piero", Fabrizio de Andrè, 1964
martedì 20 ottobre 2015
Scusate il Ritardo
Lo so, lo so, non mi
faccio viva da mesi ed è da maleducati…
E’ stata un’estate incollata
alla scrivania: un delirio di commissioni e scadenze da infarto. Solo nel mese
di Agosto ho lavorato a più di 70 disegni, tra bozze e definitivi, praticamente
sfornavo illustrazioni come pizze… per una strana congiunzione astrale pareva
che tutti gli illustratori in UK fossero scomparsi, partiti, malati o inadatti
alle richieste.
-Ti è piaciuto lavorare a
Londra, la città che non si ferma mai, e adesso che vuoi?
- Mmm… che so, respirare? O al limite, arricchirmi?
- Scordatelo.
- Ok, sigh…
Comunque adesso i ritmi
sono diventati più lenti, ed eccomi qua. Volete vedere quello che ho fatto? E non
ve lo posso mostrare finché non verrà pubblicato (è la dura legge del
copyright)!
Però nel frattempo è uscito, per Mondadori Education, il corso di Geografia per le scuole medie a cui ho lavorato alcuni mesi fa. Si chiama MAPS (lo trovate qui). Io ho illustrato una
sezione narrativa, con brani tratti da racconti per ragazzi, nei quali c’erano
osservazioni sulla realtà, descrizioni di ambienti, fenomeni atmosferici
particolari.
Harry Potter e la Pietra Filosofale-J.K. Rowling-in MAPS-Mondadori Education- Monica Auriemma |
Al calar della notte la tempesta annunciata
esplose. La schiuma delle onde altissime schizzava sulle pareti della
catapecchia in riva al mare e un vento feroce faceva sbattere le luride finestre.
Il cupo rumore del tuono
iniziò attorno a mezzanotte.
(J.K. Rowling, Harry
Potter e la pietra filosofale - adattato)
Harry Potter-schzzo preparatorio-Monica Auriemma |
Questo è il brano in cui
lo zio di Harry, pur di impedire che venga mandato ad Hogwarts, si rifugia con
tutta la famiglia in una pericolante catapecchia sul mare, convinto che nessuno
li troverà. Ovviamente Hagrid abbatterà la porta a spallate e porterà via Harry
verso la sua nuova vita.
Confesso, sono fan della saga della Rowling, mi piace
senza remore, l’unica cosa che non mi piaceva erano le illustrazioni della
prima serie che ho visto in Italia. Così questa illustrazione l’ho presa come
un piccolo segno del destino: potrebbe capitare a me prima o poi? Beh, pochi
giorni fa è uscita la nuova edizione con le illustrazioni del grande Jim Kay e,
signori, non c’è molto da dire, spettacolare.
Sarà per la prossima volta.
Pinocchio-C.Collodi- in MAPS- Mondadori Education-Monica Auriemma |
«Ah, ladracchiòlo!»,
disse il contadino incollerito, «dunque sei tu che mi porti via le galline?»
«Io no, io no! Io sono
entrato nel campo per prendere soltanto due grappoli d’uva!» rispose disperato
Pinocchio.
«Chi ruba l’uva è
capacissimo di rubare anche i polli.»
E lo portò di peso fino a
casa, come si porterebbe un agnellino da latte. Arrivato che fu sull’aia, lo
scaraventò in terra e gli disse: «I nostri conti li aggiusteremo domani.
Intanto, siccome oggi m’è morto il cane che mi faceva la guardia di notte, tu
prenderai subito il suo posto.»
(Carlo Collodi, Le avventure di Pinocchio)
Pinocchio-disegni preparatori-Monica Auriemma |
Nel progetto mi è stato chiesto di non focalizzare l’immagine sui personaggi
ma sugli ambienti, le atmosfere, questi erano gli argomenti da
sviluppare. Qui dovevo mostrare la campagna, l’uva, gli animali, però non ho
resistito, Pinocchio si doveva vedere, anche un po'. L’immagine è stata approvata, e il mio omaggio a Collodi è andato.
Cuore-E.De Amicis-in MAPS- Mondadori Education- Monica Auriemma |
La
povera madre aveva pianto lacrime di sangue al separarsi dai suoi figli, il più
piccolo di undici anni; ma era partita con coraggio, e piena di speranza. Aveva
trovato subito una buona famiglia argentina, che la pagava molto e la trattava
bene. Non spendendo nulla per sé, mandava a casa ogni tre mesi una bella somma,
con la quale il marito andava pagando via via i debiti.
(E.
De Amicis, Cuore)
Cuore-Disegno Preparatorio-Monica Auriemma |
La
partenza degli emigranti: allora volete affondare il coltello nella piaga della
povera emigrante del 2000?
E va bene: guardiamoci centinaia di foto delle navi
in partenza per l’argentina, scrutiamo i volti, i gesti, quel senso di attesa e
lo strazio del distacco… cerchiamo di riprodurre un abbraccio, insomma… lacrimiamo,
sigh…
La-Fabbrica-di-Cioccolato-R.Dahl-in-Maps-Mondadori-Education-MonicaAuriemma |
Un
giorno, era mattina presto, dalle ciminiere della fabbrica sottili colonne di
fumo si levarono nel cielo! In molti corsero ai cancelli credendo di trovarli
spalancati per riaccogliere gli operai. Ma niente di tutto ciò! Le pesanti
cancellate di ferro apparivano sprangate come sempre.
(R.
Dahl,Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato)
La Fabbrica di Cioccolato-schizzo preparatorio-Monica Auriemma |
Qui non c’è molto da
confessare: Roald Dahl. Adorazione incondizionata. E ovviamente le
illustrazioni di Quentin Blake non sono superabili, ma per un momento ho assaporato il piacere di poter
metter mano ad un capolavoro, e mi è piaciuto!
E questo è quanto, per
ora.
Prometto solennemente di
farmi viva più spesso (mi pare di sentire in lontananza un coro di “echisenefrega”,
che strano…)
lunedì 22 giugno 2015
If You Are Brave Enough
Ieri mattina al parco stavano
allestendo il percorso di una 10km di corsa femminile, c’erano cartelli con gli sponsor
e le indicazioni, e poi messaggi di incitamento qua e la.
Tiro fuori il cellulare
e fotografo questo:
IF YOU’RE BRAVE
ENOUGH TO START, YOU’RE STRONG ENOUGH TO FINISH. Se sei abbastanza coraggioso
da cominciare, sarai abbastanza forte da arrivare alla fine.
Una botta di felicità
alle 7.30 del mattino era quello che mi serviva.
Penso che valga per ogni
impresa. Praticare uno sport, mettere su famiglia, cambiare lavoro,
smettere di fumare, studiare, dar vita ad un progetto… ti
serve pazienza, determinazione, capacità di affrontare gli imprevisti e inventare
nuove strategie lungo il percorso. Ma nei momenti in cui molleresti tutto, devi ricordarti il coraggio che ti è servito per iniziare, e sapere che sei forte abbastanza per portare a termine il percorso.
E poi penso a me. Sono arrivata qui quasi
tre anni fa per ripartire da zero. Prima la ricerca di lavoro, poi i part-time nelle
pulizie, poi l’incontro con l’agenzia, da un anno a questa parte incarichi di
illustrazione per l’editoria scolastica inglese, progetti dove hai pochissimo
margine creativo e sei uno delle decine di artisti in una specie di catena di
montaggio, ma va bene così, facciamoci le ossa (possibilmente prima dell’arrivo
dell’osteoporosi).
Pochi giorni fa una nuova
proposta. Uno Story book.
È un libro piccolo, è
destinato all’esercizio della lingua e quindi non è un Picture book come
vorrei, ma è illustrato interamente da me, compresa la copertina.
Posso dire
che sia mio, ed è il primo incarico del genere qui in UK.
“Dicette o pappice vicino a’ noce: ramm’ o tiemp’
ca te spertose”.
Non è antico
celtico, è un proverbio delle mie parti.
“Disse
il verme alla noce: dammi tempo che ti perforo”
Forse non è un incoraggiamento adatto per la corsa, ma quel vermetto lì mi è sempre stato simpatico.
mercoledì 3 giugno 2015
Principesse e Samurai
Questa dev'essere una
principessa
di un altro luogo, un
altro tempo
finita chissà come nella
metro di una città straniera
a portare buste della
spesa
con un cappotto troppo
stretto.
Unici segni di nobiltà:
sguardo fiero
un enorme turbante
grandi anelli d'argento.
Un impercettibile
inchino,
(che spero nessuno abbia notato)
e sono scesa alla mia
fermata.
Dietro di me un
Cyber-Samurai che all’inizio non avevo notato.
Capelli verdi, giacca
mimetica e scarpe "spaceships".
Forse lui proviene da
ancora più lontano.
Si ferma un attimo ad
inviare messaggi (nella Galassia?)
So dov’è diretto, siamo a
Camden,
ho visto altri guerrieri
come lui in un negozio di abiti da discoteca,
(ma penso sia solo la
copertura per una base segreta extraterrestre)
Questi sono i primissimi schizzi che ho fatto qui. Andare in metro a Londra è per me come viaggiare nel tempo e nello spazio. Per alcuni mesi La Principessa e il Samurai si sono fatti un lungo tour in Italia esposti alla biennale "I Colori del Sacro", adesso ho dato loro una rinfrescatina e li porterò in giro qui in UK.
Buon viaggio
lunedì 11 maggio 2015
Piccoli semi
Ebbene sì, ci sei
riuscito.
Adesso sono innamorata persa di te, legata per la vita.
Perché un
gesto così, una cosa così per me non l’aveva mai fatta nessuno…
C’erano stati dei
segnali, certo, mi mandavi gratis il giornale ogni 15 giorni, poi mi arrivava
il mensile con gli appuntamenti ma io pensavo: lo fa con tutti, tanto per
essere educato.
Invece quando ho trovato nella
mia buca delle lettere questa bustina con dei semini di fiori e una dedica: “aggiungi un tocco di colore al giardino,
davanzale o balcone” ho capito che mi conosci più profondamente di quanto
credessi. Sai della mia difficoltà. Del mio pollice nero…
Ho capito che quei semini
(anche se li hai mandati ad altre duecentomila persone) erano per me.
Ti giuro che ci proverò,
caro London Borough of Hackney, seminerò e curerò il tuo regalo.
Tua per sempre
Monica
giovedì 7 maggio 2015
Dear David Cameron
You don't know me. We've never met.
I'm an immigrant, a European, or more specifically, one of the PIGS. Now,
don't make that face, please, I know we're a real headache for you at the
moment. But it's not my fault if your plans to cut immigration failed because
you were watching the east and masses of us sneaked in from the south. We
didn't plan it, I promise. We are the proof of your failure, but we honestly
didn't do it on purpose.
I just wanted you to know that I
understand. When immigration soars like this, it's always hard to adapt, things
get a bit tense, fear and suspicion take hold. It's never easy. People worry. I
know Nigel Farage is giving you a hard time, garnering support like he does, appealing
to people's worst instincts rather than their sense of reason. He offers quick
fixes to complex issues. Are things in a
mess? Blame the immigrants! Let's take our country back, and to hang with
Europe. It just fills our Union with foreigners who come here to steal our
jobs! He has all the right rhetoric (reminds me of someone in Italy).
The difference is, David, that Nigel
Farage is an "extremist", he can badmouth foreigns as much as he
likes. You need to be a little more diplomatic.
So, you promised that if you are
Prime Minister after the election, you'll
negotiate to reform the European Union and Britain's relationship with it,
starting with the issue of free movement. And if that doesn't work out, you're
not ruling anything out. In that case, European citizens will be required to
leave if they haven't found work within six months and they can only apply for
welfare payments after living here for a minimum of four years.
Between you and me, that might sound good for the voters but are you sure
you can afford it? Will it really deter European immigration?
Of course, there's no getting away from the fact that you have a great welfare
system (compared to where I come from) that's sometimes exploited. But what's
your quick fix? Cut benefits to
immigrants! If they can't find a job, send them packing, we don't want
scroungers here.
The painful but potentially more effective solution is: if it's
scroungers you're after then maybe you should look closer to home. There are
people already in the country who spend their lives on benefits, some even have
children just to get a council house, choosing to live out their existences at
the state's expense. You'll find far fewer amongst European immigrants,
especially those from the southwest corner, most of whom come to Britain with
one main goal in mind: to build a future.
I'm not just pretending to know about these things, I've studied the
figures. A CReAM study showed that rather
than draining Britain's finances, European migrants actually pay more in taxes than they receive in benefits.
The co-author of the study also said that new migrants from western and
southern Europe were exceptionally well qualified. To recreate the same level
of "human capital" the UK would have had to spend £7 billion on
education.”
So that's the point right there,
dear David, we're capital (I think you'll like that word). We may be a problem
but we're also an enormous resource, if you manage us properly.
I'll tell you a little bit about my
own experience. It might not be
everyone's, but it'll help you to understand. I used to work, work, work, but it
was impossible to earn enough to survive. What about state support, you say?
Forget it, the state in my country seemed to be doing everything in its power
to drag me even further down.
Do you know what welfare I relied
on? Where my benefits came from?
From my family. The people who kept
a roof over my head for as long as they could then tried to be there for me
whenever I needed help; my mother-in-law with bags of groceries, a neighbour
who'd bring me fish, friends who'd repair my PC without charging me, you know,
the kind that say, "don't worry
about the money, my shout this time."
My welfare net, the only one that
really works in Italy, was the family network I was born into and the network
of relations I built for myself, of the meaningful, help each other out in a
crisis kind, the human bonds that meant I've never felt alone. Do you really
think I'd have left all that to live on your benefits?
What I was looking for was the chance of a future I can't have in Italy.
Not benefits.
When I arrived, I didn't know
anything about benefits. It was only when I tried to sign up for a free English
course that I was told I could only take it if I was on them. That's how I
ended up on the Jobseeker Allowance, the system that helped me to survive for a
few months while I looked for work, took some courses and even got some glasses
so I could read better.
Dear David, I'm really grateful for
everything I received but let me tell you, it certainly wasn't easy and it
didn't make me feel good.
It felt like begging.
Appointments at the job centre were
excruciating; not being able to bring my advisor good news was frustrating, I
felt like I was being judged, I was inadequate, and forced to follow procedures
that were rigid to the point of absurd.
I had my share of suprises along
the way too: when I got my first interview I was sent to a shop where I could
buy (with your government's money) some interview clothing. I felt like crying,
I just wanted to hug my advisor the way I would've hugged my mum.
When I got my first job as a
cleaner I said my farewells and thanked everyone.
I'll never be able to thank you
enough for what you did for me but I sincerely hope I never have to set foot in
a job centre ever again.
I'm self-employed now, and very
proud of having submitted my first tax returns and made my first monthly
national insurance payment. So, you can stop worrying David, your money was
well spent.
My partner has been working for two
years as well, his boss is happy to have found someone with his skills and such
an enterprising spirit.
He pays national insurance too, and
that's great, but what if he were to lose his job before the four years are up?
Or if he can't find anything else quick enough? We would have to leave,
wouldn't we, and that would make the whole investiment you made in me
pointless, and my investment in you, when I brought what little savings I have
to your country.
If you ask me, cutting benefits
won't stop Italians from coming, because that's not what they're after.
If they just wanted to get by,
they'd stay at home with mamma.
You need to target our other
weaknesses, but without appearing to be against immigration. Maybe you could invent
some new public order laws and use them to arrest or deport anyone who claps
when their flight touches down on British soil. Or set new noise limits for
loud voices in public places, then fine anyone who exceeds them; three fines
tops and they're out.
Just wait and see how many Italians
that gets rid of!
But, jokes aside, do you really
want us to go? In other words, do you really not need us?
The International
Business Times says you cannot do without immigration if you want
a stronger economy. Immigration is the cheaper option given that birth rates
are so low in the UK and the native population is getting older. Immigrants are usually adults who come
ready-educated and ready to work. There's no need to invest in their education and training.
It's like the full package turning up at your door, ready to fill skill gaps in
the UK, set up businesses and create - not
take - jobs.
So, you were just joking, weren't
you? Go on, you can tell me, it was just bit of pre-electoral fun, wasn't it?
I realize uncontrolled immigration
is dangerous and that you could end up with all sorts, rotten apples included,
and they need to be stopped. But there has to be a better way.
Like tightening up the grey area,
the time it takes for a foreigner to integrate, settle and look out for him or
herself.
The money you want to save in
benefits could be invested in creating more advisors in that amazing National Career
Service you have that
helps foreigners to understand the rules, to work out how the labour market
works, how to write a good CV, and how to get on a career path.
Set up new English courses. I
realize we should learn the language before we come but language really is what
makes full integration so difficult so help people to learn it quicker. I know,
I've been through it.
I can't emphasize it enough, David.
If this country were to stop being the open nation you so proudly call it, what
a great pity that would be.
Yours sincerely,
Monica
(this is the English version of my previous post. Thanks indeed to Denise Muir for translation)
mercoledì 29 aprile 2015
Caro David Cameron
Non abbiamo il piacere di
conoscerci,
sono un’immigrata,
europea, precisamente PIGS*. Adesso
non fare quella faccia, please, so che per te siamo un bel problema. Ma non è
colpa mia se il tuo piano di taglio all’immigrazione è fallito perché ti
preoccupavi degli extracomunitari e ti hanno invaso dall’Europa, guardavi ad
est e siamo arrivati noi dal sud. Ti giuro che non ci siamo messi d’accordo.
Siamo l’emblema della tua sconfitta, ma credimi, non l’abbiamo fatto apposta.
Volevo solo dirti che io
ti capisco. L’aumento rapido dell’immigrazione porta sempre problemi di
adattamento, tensioni, insomma non è semplice. La gente comincia ad essere
preoccupata.
So che Farage dell’UKIP ti sta facendo venire la gastrite. Lui è bravo a prendere consensi
parlando direttamente all’istinto, senza passare per il cervello; offre
soluzioni elementari a problemi complessi. Le
cose non vanno bene? Colpa degli immigrati! Riprendiamoci la nostra Patria, e
fanc… a questa Europa che ci riempie di stranieri che ci rubano il lavoro! Un
vero campione di retorica (mi ricorda qualcuno in Italia…).
Solo che lui se lo
può permettere, è “estremista”, tu devi avere un po’ più di aplomb.
Allora hai promesso che
se ti rieleggono rinegozierai i termini
dell’appartenenza all’Unione Europea cominciando dalla libertà di movimento. E
se questo non sarà possibile, allora non escludi nulla. Poi i cittadini europei
saranno espulsi se ancora disoccupati dopo sei mesi di permanenza e potranno chiedere i benefits (sussidi per
la sopravvivenza) solo dopo aver vissuto, lavorato nel paese, e pagato tasse,
per quattro anni.
Detto tra noi, magari va bene per i tuoi elettori, ma sei
sicuro di poterlo fare? E sei sicuro che funzioni da deterrente per tutti gli
immigrati europei?
Premetto che voi avete un
sistema di welfare invidiabile per alcuni aspetti (almeno rispetto a quello da
dove provengo io) che però presenta dei problemi di “parassitismo”.
La risposta
elementare è: togliamo gli aiuti agli
immigrati! Se non trovano lavoro tornino a casa loro, che di parassiti non ne
vogliamo.
La risposta complessa,
dolorosa, ma forse più esatta è: se cerchi parassiti forse ne troverai di più
tra i tuoi concittadini inglesi che praticamente vivono una vita On Benefit, fanno figli per avere una
casa popolare e si trascinano tutta l’esistenza così; molti di meno tra gli
immigrati europei, specialmente da quelli del sud-ovest che vengono qui per uno
scopo: costruirsi un futuro.
Non è che mi sia
improvvisata esperta, è che ci sono varie ricerche, come questa del CReAM riportata in un articolo del Guardian: I migranti europei pagano molte più tasse di
quanto ricevano in benefits. Quelli provenienti dall’ovest e dal sud dell’Europa
in particolare, hanno un’istruzione più alta della media dei nativi, e l’UK
dovrebbe spendere miliardi in istruzione per arrivare allo stesso livello di
“capitale umano”.
È questa la
chiave, caro David, siamo capitale
(una parola che deve piacerti, lo so). Un problema, ma anche un’enorme risorsa,
se riesci a gestirla.
Ti porto la mia
esperienza, che certo non vale per tutti, solo per aiutarti a capire. Nel mio
paese lavoravo come un mulo senza guadagnare abbastanza per sopravvivere. Aiuti
statali? Lo stato sembrava mettercela tutta per affossarmi ulteriormente.
Sai
quali erano i miei Ammortizzatori Sociali, i miei Benefit?
La famiglia, che mi
ha dato un tetto sulla testa finché ha potuto e dopo c’è sempre stata in caso
di bisogno; la suocera che si presentava con la spesa fatta per me; il vicino
che mi regalava il pesce fresco; gli amici che mi riparavano gratis il
computer; quelli che: non ti preoccupare
per i soldi, ci penso io.
Il mio welfare, l’unico che funzioni veramente in
Italia, era il tessuto affettivo in cui ero nata e che mi ero costruita, le
relazioni profonde di mutuo soccorso, i legami veri grazie ai quali non mi sono
mai sentita sola… Credi davvero che avrei lasciato tutto questo per sopravvivere
di sussidi?
Quello che io cercavo venendo qui era progettare un futuro
impossibile in Italia. Non i benefit.
Quando sono arrivata qui,
dei sussidi non sapevo niente. Cercando un corso gratuito d’inglese ho scoperto
che potevo farlo solo se ero “On Benefit”. È così che sono entrata nel Jobseeker Allowance, il sistema che per
qualche mese mi ha consentito di fare la spesa senza affanno mentre cercavo
lavoro, frequentare il corso e perfino prendere gli occhiali per vedere alla
lavagna.
Caro David, io ti sono
molto grata per questi mesi, ma ti dico che non sono stati facili, ho provato
molto disagio.
Perché a me sembrava di chiedere la carità.
Gli incontri al Job
Centre erano una piccola tortura, non riuscire a portare buone notizie alla mia
advisor era frustrante, mi sentivo giudicata, inadeguata, ero costretta a seguire
procedure rigide e a volte assurde.
Certo non sono mancate le belle sorprese: quando ottenni la prima interview mi fu indicato
un negozio dove acquistare (a spese dello stato!) un abito formale adatto. Volevo
piangere credimi, volevo abbracciare l’advisor come fosse stata mammà.
Appena trovato il primo lavoro come cleaner
salutai e ringraziai tutti.
Ti sono infinitamente grata ma spero di non dover
mai più rimettere piede in un Job Centre.
Ora sono una self-employed molto fiera di aver fatto
la mia prima dichiarazione dei redditi, pago il mio bel contributo mensile al
tuo welfare, insomma, stai tranquillo, quei mesi sono stati ben spesi.
Il mio
compagno lavora, da due anni, il suo capo è felice di aver trovato uno con il
suo spirito d’iniziativa e le sue qualità.
Anche dalla sua busta paga c’è una
trattenuta per il welfare, il ché va benissimo, ma se dovesse perdere il lavoro
per qualche motivo prima di quattro anni? E se non riuscisse a trovare niente
velocemente?
Pensa se fossimo costretti ad andar via. Allora sì che
l’investimento che tu hai fatto su di me, e che io ho fatto su di te, portando i
miei pochi risparmi qui, sarebbe stato inutile.
Secondo me togliere i
benefit non scoraggerà gli italiani che vogliono partire, perché non mirano a
quello. Se volessero arrangiarsi starebbero ancora a casa di mammà.
Devi
trovare altre strade che colpiscano i nostri punti deboli senza sembrare contro
l’immigrazione. Inventati nuove leggi sulla quiete pubblica che puniscano con l’arresto
o il rimpatrio chiunque applauda all’atterraggio dell’aereo su suolo
britannico. Oppure metti un limite di decibel al volume della voce nei luoghi
pubblici, multe a chi lo supera e dopo tre volte espulsione.
Vedrai quanti italiani
eliminati!
Ma, seriamente: vuoi
davvero che sgombriamo? Cioè, davvero non ti serviamo?
Il quotidiano economico International Business Times dice che tu vuoi un’economia più forte ma non
puoi averla senza immigrati, e secondo
lui tu lo sai perfettamente.
Dice che l’immigrazione è il mezzo più
semplice e a buon mercato per far crescere la tua economia. Perché il tasso di
natalità è basso e la popolazione nativa sta invecchiando.
Perché gli immigrati
sono in genere adulti che arrivano istruiti, qualificati e pronti a lavorare,
così non devi investire in istruzione e formazione.
Sono una sorta di “pacchetto
completo” che ti si presenta alla porta, pronto a riempire le molte lacune di
tua competenza (come il buco nell’NHS), dar vita a nuove imprese e creare - non
prendere - posti di lavoro.
Allora stavi scherzando?
Dai, a me puoi dirlo, è un diversivo pre-elettorale?
So che il flusso
incontrollato è pericoloso, so che ti può arrivare di tutto, mele marce
comprese, e quelle vanno fermate.
Ma ci
dev’essere una strada migliore per tutti.
Per esempio diminuire la “zona
grigia”, il tempo di ambientamento , in cui l’immigrato ancora non si è
integrato.
I soldi che vuoi risparmiare in benefit, investili nel potenziare il
sistema di advisor del fantastico National Career Service, che mette in condizioni uno straniero di comprendere da vicino le
regole e il mercato del lavoro, di compilare un buon CV, di capire quale strada
scegliere.
Aumenta i corsi d’inglese, perché lo so che uno dovrebbe impararlo
prima, ma la maggiore difficoltà di integrazione parte dalla comunicazione. Io lo so, ci
sono passata...
Te lo dico col cuore, se
questo paese non fosse più un’ “Open
Country”, come una volta hai detto, sarebbe un peccato.
Yours sincerely,
Monica
*Portoghesi, Italiani, Greci e Spagnoli; simpatico acronimo coniato
dal quotidiano Sun
Qui ci sono articoli interessanti sulla questione:
Rap di CassetteBoy creato dai discorsi di Cameron, Farage & Co, geniale...
giovedì 23 aprile 2015
Shelley The Blacksmith
London Museum of Water & Steam, il Museo del Vapore, una ex stazione di
pompaggio dell’800, a Kew Bridge.
Sono
all’esterno della struttura e già mi pregusto le foto che farò.
Datemi
ingranaggi, ruote dentate, tubi, manometri, possibilmente vecchi, e mi fate
felice. Preciso che non capisco nulla di tecnologia, nemmeno della più
elementare, ma non importa. Non mi interessa il processo, i risultati, non il funzionamento
del meccanismo ma la sua forma.
Devo aver avuto una
specie di imprinting quando ero piccola. Mio padre era progettista meccanico e
in alcuni periodi lavorava fino a tarda sera nella stanza dove dormivo insieme
ai miei fratelli. Non c’erano i pc allora (ebbene sì, signori, c’è stato un
tempo in cui le cose si facevano senza pc o smartphone…), ma un enorme
tecnigrafo sul quale erano incollati strati e strati di
fogli lucidi disegnati a matita.
Un universo di linee tratteggiate, frecce,
quote, sezioni di pezzi meccanici.
I fogli si spostavano e i pezzi
combaciavano, ruotavano, si incastravano l’uno nell’altro. Era uno spettacolo
bellissimo. Mai più dimenticato.
Ma sto divagando. Dunque
sono al museo, le persone che mi accompagnano devono incontrare una dei vari
artisti che ha lo studio all’esterno
della struttura. Di lei non so nulla, se non che si chiama Shelley.
Ed ecco che da una porta
buia in una parete di mattoncini sbuca una figura imponente in gilet di pelle e
scarpe antinfortunistiche.
Molto più alta di me (ma per questo ci vuole poco…),
capelli bianchi con una sfumatura bionda alle punte, raccolti in una coda,
sguardo penetrante, azzurro, vivacissimo, bel sorriso da cui spuntano denti
d’oro, mani nodose.
Non mi stupirei se avesse una benda sull’occhio e una pistola
al cinturone.
Il maglione che porta
sotto il gilet è bucato vicino alle maniche.
Sono le scintille.
Shelley Thomas è una Blacksmith, una donna fabbro, ella domina
il fuoco, usa la forza, una tecnica millenaria, piega i metalli al suo volere
per creare grandi cancellate o piccolissimi monili.
E questo è un personaggio! Mi serve! comincio a pensare…
I miei amici parlano con
lei di workshop sui gioielli, io li ascolto appena, resto col mezzo sorriso
ebete e lo sguardo fisso su di lei a cercare di imprimere nella memoria i
particolari, gli anelli alle dita, una strana spilla appuntata al gilet,
probabilmente una sua creazione… non dico una parola, ho una sola domanda come
un mantra in testa: “Can I take a
picture? Can I take a picture? Can I take a picture?...”, posso fare una
foto? Non ho il coraggio, non ci conosciamo, mi prenderà per matta (e non
sbaglierebbe di molto).
Ci salutiamo e io faccio i miei scatti al museo ma una
volta a casa corro a cercarla sul web.
E trovo strane sculture, letti steampunk, ciondoli con ingranaggi di orologi, cuoricini e pietre semipreziose.
Soprattutto trovo l’elemento mancante
per il disegno che ho in mente, il super-tecnologico casco protettivo che usa
per lavorare, in una bella foto sul suo sito.
Ecco qua, glielo piazzo
in testa. Shelley The Blacksmith è completa.
mercoledì 1 aprile 2015
Italians Vs Italians
Bozza cover per un progetto sull'Inno d'Italia, Paramica Edizioni, mai pubblicato - |
Una sorta di schizofrenia
coglie gli emigranti italiani delle ultime generazioni.
“Non andare a lavorare
con gli italiani, ti sfruttano e ti trattano male”.
“Che fastidio a Portobello,
sentivo parlare solo italiano!”.
“Non mi piace quel posto, è pieno d’italiani.”
E, scusa, noi cosa siamo???
A volte cado anch’io in questa trappola, se sento
parlare italiano nella tube (talvolta così ad alta voce che non posso far a
meno di sentire, sigh), provo un senso di fastidio. Stento a riconoscermi nei
miei simili.
È come se dicessi: Io?!
Io no! Mica sono come loro? Sono integrata io, vivo qui, mi tengo sulla destra
quando sto sulla scala mobile io, che credete?!
Certo, le faccende
politiche degli ultimi anni hanno contribuito non poco a farci sentire lo
zimbello d’Europa e del mondo, il marchio di mafiosi e corrotti è uno
stereotipo pesante da sopportate ed è vero: siamo piuttosto chiassosi,
gesticoliamo, siamo invadenti… ma c’è un problema più profondo alla base. La
mancanza di un senso di appartenenza, coesione, patria (se vogliamo usare questo
termine), lo so che la nostra storia non ci ha aiutato affatto a sentirci
Paese, ma non voglio passare la vita a dissimulare, far dimenticare ciò che fa
parte di me, insomma mi fa tristezza pensare: sono italiana ma non tanto.
Mi spiegavano che qui non
c’è qualcosa come la Little Italy americana, non c’è una comunità forte che ha
colonizzato interi distretti, a differenza di molti altri gruppi.
Forse neanche
la vorrei, in fondo sono andata via anche per scrollarmi di dosso certi
meccanismi che ci appartengono culturalmente e non vorrei ritrovarne la
fotocopia londinese.
Eppure dagli italiani che
ho conosciuto qui ho avuto favori, aiuto e gentilezze disinteressate.
Ho
passato ore al telefono a farmi spiegare come funzionano le cose, ho ricevuto
calore e supporto, ed ho cercato di darne ad amici e conoscenti che arrivavano
qui dopo di me.
Perché è così che si fa.
Perché quando uno arriva
qui è solo e smarrito e un po’ di calore umano aiuta a superare le difficoltà.
Forse come popolo abbiamo qualche problema, ma presi uno ad uno siamo proprio brave persone.
mercoledì 25 marzo 2015
Corri Malik, Corri
La mia ultima fatica libresca per l’Italia è in uscita
in questi giorni, ma non la trovate in libreria, dovete andare al Supermercato…
Partiamo dall’inizio: nei
mesi scorsi il concorso “Scrittori diClasse”, progetto Conad, ha coinvolto decine di migliaia
di scuole da tutta Italia con la partecipazione di autori del calibro di Roberto Piumini, Vanna Cercenà, Silvana De
Mari, Manuela Salvi, Guido Sgardoli, Luigi Garlando, Beatrice Masini e Tim
Bruno (trovate i loro profili qui).
Gli otto libri. |
Per le classi si trattava
di partire dagli incipit degli autori e creare una storia, I ragazzi hanno
lavorato in maniera corale, sono entrati nei meccanismi della narrazione, hanno
letto e valutato i racconti degli altri, incontrato scrittori veri.
C’è un
marchio commerciale dietro, ma non storcete il naso, promuovere la cultura e la
formazione a me sembra sempre cosa buona e giusta. Inutile dire che in UK aziende
pubbliche e private organizzano concorsi artistici e letterari come se piovesse (e
qui piove, giuro…).
Sono nati così otto libri, illustrati da: Katia Belsito, Erika De Pieri, Antongionata
Ferrari, Roberto Lauciello, Cecco Mariniello, Manuela Orciari, Claudio Prati
e la sottoscritta.
Il mio lavoro era tassativamente
concentrato tra il 16 Dicembre e il 15 Gennaio. Non un minuto prima, dato che
bisognava decretare i vincitori e imbastire il racconto finale, e non un minuto
dopo, per i tempi tecnici di stampa e distribuzione. In quel mese il libro doveva
essere elaborato, illustrato, “copertinato”, in contemporanea, tra scrittore e
illustratore.
Nei giorni precedenti mi preparavo al ritiro lanciando proclami apocalittici: Per un mese non ci sentiremo! Non potrò uscire! Non ci sono per
nessuno! Tra un boccone di panettone e uno di pudding (per onorare patria
di provenienza e patria d’adozione), trascorrevo le mie feste natalizie nell’
“antro oscuro” a disegnare.
Con i colleghi ci scambiavamo
mail notturne del tipo:
- Io ho appena finito, tu
a che punto sei? - A me manca ancora una nottata!
- Il racconto come
procede? - Sono in alto mare! Comunque Buon Anno!
Le mail con la prode Manuela Salvi che faceva da
coordinamento, spesso avevano come oggetto: “sono viva”, iniziavano con: “scusa
l’invio notturno” oppure “se vedete del non-finito non è una distrazione,
sarebbe voluto, se vi fa vomitare, just let me know” e si concludevano con “zzzz…” o "daidaidai..." da parte di entrambe
Insomma, ordinaria
amministrazione artistico-letteraria.
Il racconto che ho
illustrato, per le scuole medie, è quello di Luigi Garlando, elaborato su una storia della 2E, Scuola Piero Vannucci (Perugia):
“Corri,
Malik, corri”, parla di un ragazzino africano adottato in Italia con la
passione per la corsa.
Queste sono alcune tavole.
I protagonisti:
Malik, è alle prese con la responsabilità delle proprie scelte, oltre i turbamenti d’amore/amicizia.
Ha l’età in cui si comincia a crearsi un “look” e io volevo un tratto distintivo, frutto di una sua scelta, mi sembrava una buona idea fargli le treccine (sono letteralmente affascinata dagli innumerevoli modi di annodare, intrecciare, acconciare i capelli afro), me ne sono pentita appena capito che dipingere treccine una ad una per dieci volte poteva essere alienante, ma era troppo tardi, la prossima volta un bel taglio a zero, eh?
Rosalba (capello rosso fuoco e abiti punk-dark per espressa richiesta della classe vincitrice), è una graffitara. Io adoro i graffiti e tutta la Street Art, qui a Londra poi sono letteralmente circondata. Confesso che essere “Writer” mi sarebbe piaciuto, ma ahimè, avrebbe richiesto velocità di esecuzione, sprezzo del pericolo e soprattutto andare in giro di notte, tutte cose che NON fanno per me. Mi sono tuffata nelle mie foto ai muri londinesi e in un’abbondante ricerca sui graffiti di Milano, città dov’è ambientata la storia, per inventare una specie di Rosalba’style: spirali coloratissime e piccoli personaggi strani.
Non mi piace che i miei lavori sembrino tutti uguali.
A volte non ho abbastanza tempo o libertà di scelta (spesso mi accade con i lavori di scolastica inglese) e sono costretta ad affidarmi al mestiere, ripercorro strade già fatte, veloci, ma combatto sempre per fare un passetto in più, un piccolo esperimento, in ogni lavoro.
Qualche volta ci riesco, altre no, ma conservo l’esperienza per l’occasione successiva, se finisce la ricerca sei morto.
Ovviamente niente di eclatante, magari il pubblico non se ne accorge, e poi io resto sempre io.
Siccome ho una certa
tendenza a diventare leziosa, a fare il disegno “perfettino”, con tutte le cose
al posto giusto, ho tentato di rompere il mio schema.
Riempivo tutto e poi
cancellavo, o mi fermavo un attimo prima di finire, eliminavo del disegno per
far “respirare” il colore.
Magari il risultato è ibrido, adesso è troppo
presto per giudicare, mi sembra tutto bello, me ne renderò conto col tempo, ma comunque mi
sono divertita.
Sia benedetta la “macchina infernale” (il computer) che mi fa
lavorare su livelli diversi come su fogli sovrapposti, uno per il disegno, uno
per ogni texture, e mi permette di verificare in corso d’opera se l’idea che
sto seguendo è interessante o meno, così posso rifare lo stesso pezzo più volte
senza perdere i tentativi precedenti.
Alla tavola finale tengo
molto. Io tutt’altro che sportiva, mi sono appassionata alla corsa alla mia tenera età, per seguire le manie
inglesi, (salvo poi stare ferma per mesi causa fascite plantare) e ho provato
personalmente l’ebbrezza di superare un limite apparentemente impossibile, che
è quella che riesce a provare Malik. Una volta ho alzato le braccia al cielo e
mi sono commossa, anche se avevo corso solo per venticinque minuti di fila (ne
ho parlato qui), perciò, signori, in
questa tavola Malik sono io!
Per alcuni racconti,
soprattutto per target d’età più alta, preferisco usare modelli reali (come per l’Aida).
Stavolta ho torturato per benino tre ragazzi che ringrazio di cuore: Imma Esposito, Matteo e Paolo Riccardi.
E adesso che aspettate,
andate a fare la spesa, su! ;)
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