La scorsa settimana sono stata invitata a disegnare una striscia per il blog delle bravissime Claudia Flandoli e Aurora Cacciapuoti, Panichina e Arruffata ,che ha come sottotitolo: Un buon Lunedì si vede dal disagio. Troppo allettante per non accettare l'invito. Così è nata LA VAJASSA INTERIORE, che ha riscosso un'inaspettato entusiasmo, perciò condivido con voi, e vedremo se sarà la prima puntata di una serie (o, come mi accade spesso, sarò travolta dal lavoro e morirà qui...)
P.s. io sono viva, in buona salute e disegno, disegno, disegno. E' la mia vita Social (e sociale) che lascia un po' a desiderare. Avrete mie notizie presto (spero)
Un corteo di uomini
bianchi, capelli biondo-rossicci, cortissimi o rasati, cravatte nere infilate
nell'abbottonatura di camicie bianche, pantaloni neri, avanza verso destra.
Davanti a loro una donna
nera, testa rasata, giubbotto nero e maglione rosa, in piedi, pugno alzato.
Silenzio, gli occhi si
fissano, nessuno indietreggia.
Esistono immagini potenti,
perfette, questa, scattata dal fotografo David Lagerlöf *, lo è.
Forse non c’era
bisogno di ridisegnarla. Solo che mi è entrata nella testa e dovevo
appropriarmene in qualche modo.
Continuano ad avanzare,
la donna fa qualche passo indietro, sempre col pugno alzato. Forse in quel
momento si sta chiedendo : che diavolo ci faccio qui? Finirà male… Uno degli
uomini bianchi dalla seconda fila la spintona, lei barcolla ma resta col pugno
alzato, finchè un poliziotto la allontana.
La foto ha fatto il giro
del mondo, lei è diventata un’eroina per caso (e speriamo che uno degli uomini-in-bianco-e-nero non la vada a cercare dopo tutta questa pubblicità…) e
qualcuno (**) ha obbiettato che se fosse stato un corteo della sinistra
antagonista sarebbe stato considerato diverso.
Ma qua non si tratta di
politica, signori, qua si tratta di bene e male, senza troppe sfumature.
Si tratta del fatto che c’è
un gruppo che attraversa tutti gli stati dell’Europa del Nord chiamato Movimento
di resistenza nordica che elogia
Hitler e spiega che l’ascesa al potere potrebbe richiedere spargimento di
sangue (e un po’ di sangue è già stato sparso), che il buon senso dovrebbe
dichiarare fuori legge (perché mi pare che un Hitler in Europa ci sia già
stato e i suoi danni siano stati visibili a tutti) e invece in Svezia è un
partito, e può manifestare liberamente.
Si
tratta del fatto che quando vedi il male che avanza forse ti viene d’istinto di
fermarlo.
E allora fai come Gandhalf, alzi il tuo bastone e gridi “tu non puoi
passare!”
Hanno
scritto che la donna era sola contro trecento nazi.
Ma lei non era sola, dietro
di lei c’era lo spirito di tutti i neri, i gialli, i diversi, i gay, gli ebrei,
le donne, i disabili, gli zingari, le minoranze etniche, politiche e di
pensiero… di tutti quelli che hanno sofferto a causa di uomini-in-bianco-e-nero
come questi.
Questa è la mia seconda volta con “Scrittori
di Classe”, il progetto Insieme per la Scuola che già l’anno scorso ha coinvolto le classi italiane nella
creazione di otto racconti fianco a fianco con grandi autori per ragazzi.
Nella
prima edizione avevano partecipato migliaia alunni con qualcosa come 3,2
milioni libri distribuiti, una cifra enoooorme…, e Corri, Malik, corri mi
aveva dato belle soddisfazioni.
Il nuovo racconto, sempre di Luigi Garlando, ispirato ad una storia
della III U della Scuola Secondaria “Ugo
Foscolo” di Rocchetta Ligure, si intitola “In piedi sui pedali”.
Io di ciclismo professionale non ho mai capito molto, quanto a praticarlo,
l’unica bicicletta che abbia mai pedalato (a parte quella con le rotelle nell'infanzia) è stata una fantastica Graziella bianca per ragazzi, bassa abbastanza
da permettermi di salire, niente marce o optional. Amo pedalare ma equilibrio e prontezza di riflessi non sono le mie
qualità migliori. L’ultimo tentativo di salire su una bici regolare da adulti
si concluse rovinosamente anni fa: caduta dopo
cinque metri, caviglia slogata, fine dell’avventura ciclistica. Bisognava darsi
da fare per entrare un po’ nello spirito del racconto.
L’incipit: Valerio, 16 anni, cresce con la passione della bici, trasmessa
dal nonno, ex gregario di Fausto Coppi, e dal fratello Uccio, grande talento che
a soli 21 anni sta per giocarsi la Maglia Gialla al Tour de France.
La notizia
della squalifica di Uccio per Doping cambierà la vita del protagonista, della
sua famiglia, degli amici e, diciamolo, anche la mia, che ho dovuto colmare le
mie immense lacune immergendomi in letture su doping, corse a tappe e a
cronometro, appassionandomi alle vicende di Coppi e Bartali, e ora conosco perfino
la differenza tra un velocista e uno scalatore.
Copertina. Problema numero uno: come disegnare le biciclette. Da quello dipendeva lo stile di tutto il libro.
Le bici da corsa hanno troppi elementi, fili, raggi
e ingranaggi, sono piene di scritte… (per non parlare delle divise dei ciclisti)
se avessi scelto una strada descrittiva, mi sarei trovata scene caotiche e
incomprensibili.
Negli ultimi anni sono in cerca di respiro per le mie
tavole, di pulizia del segno, di aria.
Mi agitavo alla ricerca della chiave
giusta, quando scovo una locandina del Tour de France completamente vettoriale che mi da l'idea per partire. Dovevo sintetizzare, scartare il superfluo, ovviamente non uso il vettoriale, ma dovevo usare solo l'essenziale.
Preparo come sempre qualche texture dipinta grossolanamente ad acrilico che poi "ritaglierò" virtualmente come per un collage, mi concentro sulla salita, voglio
mostrare lo sforzo, la difficoltà. La testa la faccio finire oltre l'inquadratura, mi voglio concentrare sul corpo e la bici. Disegno tutto e poi cancello il superfluo per lasciare le sagome
più pulite possibile.
Per l'elemento doping ho pensato ai titoli dei
giornali, li ho cercati in varie lingue, scannerizzati da qualche quotidiano che
avevo a casa, ricopiati, alcuni me li sono inventati (potrei fare la
titolista?). Pochi colori: giallo, bianco e blu. Ultimo tocco, la Tour Eiffel
come sagoma sullo sfondo.
Copertina approvata. Procediamo!
Scena uno: l’infanzia dei due fratelli cullata dai racconti del nonno e
dalla visione dei suoi cimeli.
Le foto autografate dell’ “Airone”, gli articoli,
la famosa immagine dello scambio della borraccia con Bartali (chi passò la
borraccia a chi? Qualcuno asserisce che fu un’ azione concordata con i
fotografi per creare la notizia, ma io voglio credere che lo scambio fosse
vero, mi piacciono i simboli, non me li dovete toccare…) ed una borraccia vera
appartenuta al campionissimo, conservata come sacra reliquia.
Avevo bisogno di affollare la
parete, di stratificare i ricordi su quel muro, e per contrasto, di
semplificare tutto il resto.
I disegni dei personaggi diventano quindi
essenziali, quasi senza chiaroscuro, con campiture di colori decisi e poi il
bianco.
Scena due: l’infarto del padre di Valerio mentre sta raccogliendo l’uva
nella vigna di famiglia. Immaginavo un’inquadratura dal basso con le viti sullo
sfondo e l’uva che cade dalla cassetta verso lo spettatore.
Ho la fortuna di
avere un compagno che “sa fare le facce” e che uso spesso come modello.
- Amore, ti andrebbe di fare il padre del protagonista? Saresti perfetto,
sei bellissimo - Certo, tesoro, devi farmi delle foto? Che devo fare? – Dovresti
farti venire un infarto…-
Non posso riportare qui la risposta e il gesto eloquente che la accompagnava…
Comunque alla fine, ha ceduto alle richieste, e questo è il risultato.
Scena tre: il bacio a Firenze. Un po’ di romanticismo non fa mai male.
Il modello per Valerio nella vita
sarebbe biondo con gli occhi azzurri, ma io gli ho messo un naso più importante, capelli e occhi scuri per esigenze
di copione, non so se sarà troppo contento…
Scena quattro: Valerio alla sua prima corsa importante, in un momento di
crisi, viene aiutato dal fratello (sparito dopo la vicenda doping), che gli
getta una spugna d’acqua fredda sul collo. È un punto centrale e delicato del
racconto. Valerio percepisce la presenza del fratello ma non lo vede. Dopo un
po’ di tentativi ho trovato l’inquadratura che mi permettesse di nascondere Uccio,
e mostrare la sorpresa di Valerio.
Scena cinque: la caduta.
La faccenda era veramente difficile da rappresentare, non potevo
certo chiedere alla gente di cadere per me dalla bici, ne appostarmi per giorni sulle piste ciclabili a caccia di
incidenti (non è carino). Così ho visionato centinaia di cadute per trovare la
posizione giusta, è stato abbastanza disgustoso, io sono sensibile alla vista
del sangue, e tra piccole sbucciature e grandi lesioni ho visto di tutto.
Alla
fine ho trovato due o tre cadute che mi hanno aiutato a capire come si può
capitombolare sulla spalla che il protagonista si slogherà.
Approfitto per
ringraziare i malcapitati corridori, mi sono stati molto utili.
Questa immagine mi sembra quasi perfetta, cioè credo di aver raggiunto la
sintesi che volevo, e mi pare abbastanza potente. Dai, sono contenta.
Scena sei: Il nonno regala a Valerio il suo cimelio più prezioso, la
borraccia di Coppi, come un talismano per la prossima gara. È una scena giocata
sulle emozioni, ho cercato un’inquadratura ravvicinata, per lasciare spazio
alle espressioni.
Uno sfondo di colore molto deciso per fare emergere il bianco
dei capelli del nonno e della camicia.
E’ un po’ di tempo che sento il bisogno di far tornare centrale il bianco
nelle mie illustrazioni. All’inizio della mia carriera mi veniva naturale usare
il bianco come “colore”, poi avevo cominciato a riempire, e riempire… ora, quando e dove posso, cerco di dare al bianco il posto che
merita; qui, dalle bici ai vestiti mi sembra che abbia un buon ruolo.
Scena sette: La fuga. Il corpo dei ciclisti sbilanciato, non più una cosa
sola con la bicicletta, che quasi libera si inclina dalla parte opposta, tutti i muscoli in tensione, le teste basse,
le schiene curve.
Volevo mostrare questo, tutto il resto sarebbe stato inutile. All’inizio avevo disegnato uno scorcio del passo Cason di Lanza, dove si svolge
la scena, poi ho preferito un fondo pittorico neutro.
Scena otto: lo scambio della borraccia tra i due fratelli.
Su youtube trovi
chi si mette, telecamera sul casco, a ripercorrere alcune tappe del Giro d’Italia,
così le puoi vedere in soggettiva.
E io ho passato ore davanti allo schermo fingendo
di essere sulle Dolomiti, con un po’ di mal di mare per via delle curve, a
godermi lo spettacolo mozzafiato delle Tre Cime di Lavaredo.
Così belle che ho
scelto un’inquadratura panoramica per dare
spazio al paesaggio.
Scena nove: il trionfo a Milano.
Nuovo problema: La maglia rosa. Il fatto è che io
il rosa non lo sopporto, ho difficoltà a dipingerlo e gestirlo con altri
colori, eppure non avevo scampo, la maglia rosa è la maglia rosa.
Ma tenendo i due
fratelli abbracciati la maglia rosa si accosta a quella bianca, per fortuna.
Problema due: avevo scelto mio fratello come modello per Uccio negli schizzi iniziali ma non trovavo più le
sue foto… ed ero in ritardo. Lo chiamo
disperata: - Mi serve la tua faccia, la tua faccia! – Lui con santa pazienza cerca le foto nel suo archivio e mi fa un megainvio che
mi salva la vita. Tra parentesi lui è bruno e barbuto, e io gli ho
donato viso glabro e chioma bionda, sempre per esigenze di
copione, ma non se ne lamenterà, ormai è rassegnato.
Volevo che trasparisse gioia e affetto tra i due e mi sono fatta una scorpacciata di immagini di trionfi, podi e squadre esultanti, quanti bellissimi abbracci! Credo che siano la cosa dello sport che mi piace pi più.
Piccola riflessione sul fondo: il Duomo
di Milano è tanto bello ma può trasformarsi in un incubo per il disegnatore, se
hai poco tempo e ventimila guglie da fare…
Scena dieci: il nuovo inizio.
Sono passati due anni, la situazione si è evoluta
e i personaggi ricoprono ruoli diversi (adesso non voglio fare troppo spoiler).
Ultimo problema: Mi serviva
uno sfondo per le bici bianche sul tetto dell’ammiraglia, che non cozzasse con i colori dell’auto e della divisa, provo
tremila soluzioni, alla fine scelgo un arancione. La sera dell’ultimo giorno utile
mando tutti i files. Poi la notte non ci dormo su, non sono soddisfatta, la
mattina presto faccio un altro fondo, bianco appena più scuro, lo mando, questo
è meglio, approvato!
Ce l’abbiamo fatta, tutti. Organizzatori, grafica, coordinamento, autore,
sembrano tutti soddisfatti, io sono stremata come se avessi corso su quella
maledetta bicicletta, in piedi sui pedali, ovviamente.
A Scrittori di Classe 2 hanno partecipato gli autori:
Stefano Bordigoni, Tim Bruno, Silvana De Mari, Luigi Garlando, Beatrice Masini,
Luisa Mattia, Roberto Piumini, Guido Sgardoli
E gli illustratori:
Roberto Lauciello, Adriano Gon, Gianni De Conno,
Emanuela Bussolati, Sualzo, Macchiavello, Claudio Prati (e me)
Con il coordinamento di Manuela Salvi e la realizzazione di Eu.promotions
Per sapere dove trovare questo e gli altri racconti andate qui. O qui
Sono alla British Library, ad una mostra per i 150 anni di Alice, venuta ad
incontrare il Bianconiglio e chiudere
alcuni conti in sospeso con lui.
Non so quando è
cominciato tutto questo, so che ad un certo punto ho iniziato a vederlo ogni
volta che mi guardavo allo specchio, con l’orologio in mano e lo sguardo
ansioso. Quello sguardo è diventato il mio.
La sindrome del Bianconiglio (pare esista davvero!) mi fa percepire sempre in
ritardo, fin dal risveglio, il tempo,
semplicemente, mi manca.
Le ho provate tutte per incastrare gli impegni:
leggere le mail sul gabinetto, sbrigare le faccende di casa mentre avvio le
stampe, alzarmi alle 5.30, ma non basta.
Esco pochissimo, vado sempre di
fretta, non mi concedo riposo. E ancora non basta.
Metti che consideri il
tempo come un contenitore rigido, e che tutto quello che dovresti infilarci non
ci va, allora procedi per eliminazione.
Metti che sei cresciuto a pane e "PRIMA il dovere e POI il piacere", è facile
intuire cosa sacrificherai: non ti dedicherai a cose che ti fanno semplicemente
stare bene, perché ti sentirai in colpa, perché avresti altri cento doveri da compiere; il tempo del piacere
è tempo sprecato, tempo perso…
Metti che decidi di
andare a vivere in una megalopoli con ritmi difficili da sostenere per
chiunque, ovviamente le cose si aggravano; il tanto agognato incremento
lavorativo ti porta via altro tempo, ti spreme anche i secondi, e tu non sai
più dove sei, davanti allo specchio solo uno sguardo preoccupato ed un enorme
orologio. Il Bianconiglio diventa l’immagine con cui ti descrivi, la tua metafora personale, e questo non ti
sembra grave, perché in fondo è un personaggio così buffo, eppure lo è…
Su, adesso non vi
deprimete per me, (e per voi, se vi sentite così) se ne può uscire, credo.
Basta
essere abbastanza stufi della situazione e un po’ disponibili a cogliere i
segnali che ti passano davanti. Io avevo bisogno di essere con le spalle al
muro per cambiare, Londra mi serviva.
Settimane fa mi ero concessa una serata con amici (non uso
il termine a caso, mi ero “data il permesso” di fare qualcosa che mi desse
gioia, ma solo perché avevo appena consegnato un libro). C’era il festival Lumiere London, una serie di installazioni sparse per il centro della città, che
con la luce creavano immagini potenti e poetiche, e lì mi ritrovo faccia a
faccia con una piccola “illuminazione” personale:
Les Luminéoles, due creature leggere e luminose, due specie di
pesci volanti, fluttuavano tra i palazzi
ancorate da cavi invisibili.
A terra una specie di fiore di loto.
Resto alcuni
minuti col naso all’insù e la bocca spalancata.
Un’amica mi chiede: -Vuoi
reggere il cavo? - Cavo? Cosa? Sì!!!-. Faccio la fila incurante di essere l’unica
adulta a voler fare quel gioco, per pochi secondi mi ritrovo a tenere un filo
che mi collega alla creatura luminosa e sento una specie di forza potentissima
che mi spinge verso l’alto. Se mi lasciassi andare potrei volare, penso, e l’emozione prende il
sopravvento.
Se mi lasciassi andare,
se solo mollassi un po’, se non mi inchiodassi a terra da sola, potrei volare…
Ma come fare? Da dove
cominciare? Poco prima, durante una chiacchierata, il mio compagno mi aveva
detto: -Hai notato quante volte nella giornata dici: non ho tempo? Lo dici continuamente, dovresti smetterla…- No, non
avevo notato…
Io sono convinta che le
parole siano importanti, che abbiano un peso, una sostanza (senza entrare nei
meandri della PNL). Se non lo fossi,
non avrei abbracciato una religione che ha come pratica principale la
recitazione di un Mantra. Parole. Importanti.
Sono convinta che quello
che ci viene ripetuto continuamente, per anni, ci influenzi (“prima il dovere…”) e che le parole che
usiamo spesso, creino solchi profondi in noi, nei quali ci ritroviamo a girare.
Dalla descrizione di una realtà oggettiva alla “creazione” di una realtà
interiore. Parole, immagini, metafore.*
Forse potevo iniziare da
qui. Quella sera e i giorni seguenti non ho fatto altro che parlarne con amici
e parenti e ho maturato alcune decisioni:
Se “non ho tempo” è
diventato un piccolo mantra negli anni, ho deciso di sostituirlo con “ho tutto
il tempo che mi serve”, a costo di sembrare scema.
Se per anni mi sono vista
come il Bianconiglio, adesso voglio scegliere una creatura più leggera, e
soprattutto meno ansiosa, un pesce volante non mi dispiacerebbe.
I primi risultati sono
già arrivati.
Oggi per esempio ho
scelto di passare mezza giornata da sola al museo, a farmi travolgere dalla
bellezza dell’arte, pranzare con calma,
prendere appunti per il blog e fare minuscoli schizzi per questo piccolo
ritratto.
Per dirti quanto ti ho
amato, my dear, e che avrò piacere di vederti ogni tanto, ma è tempo di volare.
Avevo promesso (anzi,
avevo minacciato) di raccontare la seconda storia del libro uscito per HarperCollins, ed ecco a voi “Monkey’s
Heart”.
Siamo in Sudafrica, in
una vasta zona detta Wetland, la terra umida, dove vive Monkey, un piccolo cercopiteco.
Le piace parlare con i coccodrilli perché dice che anche se sembrano feroci, di
loro ci si può fidare (specialmente quando hanno la pancia piena), e tirare la
coda agli ippopotami, che sembrano gentili ma quando si arrabbiano bisogna
essere veloci a scappare.
Se già Honey-Guide Bird mi era simpatico (sono
alta un metro e mezzo, devo tifare
per i piccoletti), di Monkey mi sono letteralmente innamorata. Non solo è
piccola, ma è completamente fuori di testa. Il suo migliore amico è Shark, lo
squalo con cui intrattiene amabili conversazioni dai rami del suo albero
preferito, uno di quelli che crescono tra la sabbia e il mare.
Lui le racconta dei suoi
viaggi, di Barriere Coralline e pesci colorati, di quando ha inseguito le
balene e viaggiato accanto ai pescherecci dei Mari del Nord, lei ascolta
estasiata, e sente che la sua vita è limitata.
Monkey vorrebbe viaggiare,
conoscere il mondo, e comincia a sentirsi triste. Le sue amiche cercano di
metterla in guardia: “Cosa ti abbiamo sempre detto di Shark? Non fidarti del
suo sorriso e delle sue storie. Vanno bene per lui ma non per te. Tu appartieni
agli alberi!”
Il giorno dopo i due
amici si incontrano per le solite quattro chiacchiere. “Ehi, qual è il tuo cibo
preferito?” chiede Shark con un sorriso a centocinquanta denti. “A me piacciono
le sardine, ce ne sono un sacco nel Wetland, per questo mi piace vivere qui. Ah…
e ovviamente perché amo la tua compagnia!”
Monkey non aveva mai
mangiato cibo straniero ma l’estate scorsa una rondine le aveva portato alcuni
cuori di palma dallo Zanzibar, dolcissimi e deliziosi. “Ecco, questo è il mio cibo preferito!” dice
prima di salutare Shark, che è in partenza per un’altra meravigliosa avventura.
La vita di Monkey procede
tranquilla tra gli alberi finché un giorno, mentre è lì a osservare i cuccioli
di tartaruga che appena usciti dalle uova camminano fino al mare, sente il
sibilo di Shark alle sue spalle.
“Eccitanti novità! Ho
trovato alcuni cuori di palma! Salta sulla mia schiena e ti porto lì!”.
Un’avventura col suo
miglior amico a caccia del suo cibo preferito. Monkey non ci pensa su due
volte. Con tre balzi è in groppa a Shark pronta per partire.
Lo squalo nuota veloce ma
Monkey si sente al sicuro aggrappata alla sua pinna.
Ben presto il Wetland
scompare alle sue spalle.
Che importa! La vista sull’oceano è mozzafiato!
“Avevo
pensato di fare uno scambio con te” sussurra Shark con voce suadente.
“Un
delizioso cuore di palma in cambio del tuo cuore. Che ne dici?”
Monkey ha un brivido di
terrore. Circondata dall’immenso oceano, si sente molto piccola e stupida per
essere cascata nel tranello, e molto lontana da casa.
Ma a volte il pericolo
tira fuori le nostre migliori risorse.
“Oh, certo che sembra un buon affare. Ma
avresti dovuto accennarmelo prima di partire, perché, vedi, il mio cuore è così
prezioso che lo lascio sempre sui rami del mio albero, per tenerlo al sicuro.
Senti qua, se fai dietro front in questo momento possiamo andare a recuperare
il cuore e concludere lo scambio. Sei veloce, saremo lì in un batter d’occhio.”
Shark non
è affatto contento di come procede la faccenda (tra l’altro ha anche fame) ma non ha altra scelta che tornare.
Appena sono abbastanza
vicini Monkey con un balzo salta sul primo ramo disponibile.
“Dai, lancia il tuo
cuore!”grida Shark, ma Monkey, ormai al sicuro risponde: “Tu avrai pure viaggiato
in lungo e in largo, ma io sono più intelligente di te, e non scambierei
il mio cuore nemmeno per tutti i cuori di palma di Zanzibar!”
Beh, ce l’hai fatta
Monkey. E ce l’avete fatta anche voi a leggere fin qui!
Quanto a me, a parte la fatica
e la gioia di disegnare, mi è rimasto un bagaglio di bellissimi incontri virtuali:
per esempio ho conosciuto
i coraggiosi cacciatori di miele africani, che si arrampicano senza imbragature
ad altezze vertiginose accompagnati dai preziosi uccellini-guida;
ho scoperto che i
cercopitechi hanno una gamma di espressioni praticamente umane;
ho conosciuto le
magnifiche, lussureggianti mangrovie, che crescono sulle spiagge e affondano le
radici nell’acqua del mare;
che i coccodrilli si
fanno pulire i denti da uccelli spazzolino senza mangiarli, e che gli ippopotami hanno
veramente un caratteraccio;
e infine ho preso un po’ di confidenza con lo squalo, che non è precisamente il mio animale preferito, ma essendomi
dovuta sacrificare a rivedere i
disegni di “Shark Tales” e “Alla ricerca di Nemo” per prendere ispirazione,
direi che ne è valsa la pena.
E’ appena
uscito per HarperCollins, “The Honey-Guide Bird”scritto da Deborah Bawden
e illustrato da me.
Dopo tanta scolastica è il primo storybook col mio nome in
copertina pubblicato qui in UK.
E’ piccolo (formato A5, cavolo quanto è piccolo,
io le tavole le avevo disegnate A3!) però sono molto contenta, perciò siate
clementi…
Si tratta di due racconti
tradizionali africani.
Volete conoscere la prima storia? (No? ok, guardate solo
le figure…)
Provo a raccontarla in
italiano. Siamo nello Zimbabwe. “Nonna! Temba non mi fa giocare con lui perché
dice che sono troppo piccolo!”singhiozza Kuda. “Troppo piccolo?! Oh, che
ragazzo sciocco! Tuo fratello non ha mai sentito parlare del piccolo
Honey-Guide Bird che si vendicò del potente cacciatore Shaka?”
Kuda sa che sta per
cominciare una delle meravigliose storie della nonna, si asciuga i lacrimoni e
si mette in ascolto.
E così scopriamo chi sono
gli Honey-Guide Birds, gli Uccelli Indicatori, una razza di uccellini molto
presenti in Africa, capaci di scovare alveari nascosti e indicarli ai
“cacciatori di miele” (confesso che ignoravo completamente l’esistenza sia della caccia al miele sia degli Uccelli
Indicatori).
Loro fanno da guida, i cacciatori
si procurano il favo e in cambio ne danno un pezzetto come ricompensa.
Un ottimo sodalizio d’affari che pare duri da millenni.
Ma attenzione a non
tradire i patti…
La storia comincia una bella mattina
di sole, quando il nostro Honey-Guide Bird richiama l’attenzione del cacciatore
Shaka con il suo verso.
Shaka (bravissimo, per carità, grande cacciatore ma,
diciamo, un po’egocentrico) si arma di lancia, sacchetto per la raccolta e segue
l’uccellino fino ai piedi di un albero di fico.
Qui accende un piccolo
fuoco e ci infila un bastone dentro finché la punta non diventa incandescente.
Quindi comincia l’arrampicata, concentrato sul dolce bottino che lo aspetta.
Arrivato al favo usa il bastone per cacciare le api (povere care api sfrattate…) e impadronirsi dell’alveare.
Ma una volta disceso, scaccia in malo modo l’ Honey-Guide che svolazzava lì intorno in attesa della ricompensa : “Sciocco uccellino. Pensi che abbia intenzione di condividere il miele dopo aver fatto io tutto il lavoro difficile? Che puoi fare contro di me? Sei così piccolo e io sono un fiero guerriero!” In effetti, cosa poteva
fare? Aspettare e pazientare.
Per un po’ di mesi rimane ad osservare il
cacciatore da lontano. Poi un giorno gli fa il solito verso.Shaka si arma immediatamente, convinto
di poter approfittare ancora della guida (perché in fondo è solo un uccellino,
pensa lui…).
E così i due arrivano ai piedi di un altro altissimo albero di fico, il favo non si vede ma Shaka sa che gli Honey-Guide Birds non sbagliano mai.
Immaginate che bella sorpresa quando invece del favo si ritrova davanti al faccione di un Leopardo che dormiva beatamente!
Fortunatamente il leopardo è sorpreso quanto lui, per cui molla una zampata a caso senza colpirlo, ma Shaka perde la presa del ramo e precipita su un rovo di spine.
Risultato: un bel po’ di punture che guariranno presto ed una lezione di rispetto che non dimenticherà mai. “Perciò”, conclude la
nonna, “mai giudicare qualcuno dalle sue dimensioni!” e brava la nonna!
La volete sentire la
storia di Monkey e Shark? Ve la racconto la prossima volta…