“Oh dear, oh dear, I shall be too late…”
Sono alla British Library, ad una mostra per i 150 anni di Alice, venuta ad
incontrare il Bianconiglio e chiudere
alcuni conti in sospeso con lui.
Non so quando è
cominciato tutto questo, so che ad un certo punto ho iniziato a vederlo ogni
volta che mi guardavo allo specchio, con l’orologio in mano e lo sguardo
ansioso. Quello sguardo è diventato il mio.
La sindrome del Bianconiglio (pare esista davvero!) mi fa percepire sempre in
ritardo, fin dal risveglio, il tempo,
semplicemente, mi manca.
Le ho provate tutte per incastrare gli impegni:
leggere le mail sul gabinetto, sbrigare le faccende di casa mentre avvio le
stampe, alzarmi alle 5.30, ma non basta.
Esco pochissimo, vado sempre di
fretta, non mi concedo riposo. E ancora non basta.
Metti che consideri il
tempo come un contenitore rigido, e che tutto quello che dovresti infilarci non
ci va, allora procedi per eliminazione.
Metti che sei cresciuto a pane e "PRIMA il dovere e POI il piacere", è facile
intuire cosa sacrificherai: non ti dedicherai a cose che ti fanno semplicemente
stare bene, perché ti sentirai in colpa, perché avresti altri cento doveri da compiere; il tempo del piacere
è tempo sprecato, tempo perso…
Metti che decidi di
andare a vivere in una megalopoli con ritmi difficili da sostenere per
chiunque, ovviamente le cose si aggravano; il tanto agognato incremento
lavorativo ti porta via altro tempo, ti spreme anche i secondi, e tu non sai
più dove sei, davanti allo specchio solo uno sguardo preoccupato ed un enorme
orologio. Il Bianconiglio diventa l’immagine con cui ti descrivi, la tua metafora personale, e questo non ti
sembra grave, perché in fondo è un personaggio così buffo, eppure lo è…
Su, adesso non vi
deprimete per me, (e per voi, se vi sentite così) se ne può uscire, credo.
Basta
essere abbastanza stufi della situazione e un po’ disponibili a cogliere i
segnali che ti passano davanti. Io avevo bisogno di essere con le spalle al
muro per cambiare, Londra mi serviva.
Settimane fa mi ero concessa una serata con amici (non uso
il termine a caso, mi ero “data il permesso” di fare qualcosa che mi desse
gioia, ma solo perché avevo appena consegnato un libro). C’era il festival Lumiere London, una serie di installazioni sparse per il centro della città, che
con la luce creavano immagini potenti e poetiche, e lì mi ritrovo faccia a
faccia con una piccola “illuminazione” personale:
Les Luminéoles, due creature leggere e luminose, due specie di
pesci volanti, fluttuavano tra i palazzi
ancorate da cavi invisibili.
A terra una specie di fiore di loto.
Resto alcuni
minuti col naso all’insù e la bocca spalancata.
Un’amica mi chiede: -Vuoi
reggere il cavo? - Cavo? Cosa? Sì!!!-. Faccio la fila incurante di essere l’unica
adulta a voler fare quel gioco, per pochi secondi mi ritrovo a tenere un filo
che mi collega alla creatura luminosa e sento una specie di forza potentissima
che mi spinge verso l’alto. Se mi lasciassi andare potrei volare, penso, e l’emozione prende il
sopravvento.
Se mi lasciassi andare,
se solo mollassi un po’, se non mi inchiodassi a terra da sola, potrei volare…
Ma come fare? Da dove
cominciare? Poco prima, durante una chiacchierata, il mio compagno mi aveva
detto: -Hai notato quante volte nella giornata dici: non ho tempo? Lo dici continuamente, dovresti smetterla…- No, non
avevo notato…
Io sono convinta che le
parole siano importanti, che abbiano un peso, una sostanza (senza entrare nei
meandri della PNL). Se non lo fossi,
non avrei abbracciato una religione che ha come pratica principale la
recitazione di un Mantra. Parole. Importanti.
Sono convinta che quello
che ci viene ripetuto continuamente, per anni, ci influenzi (“prima il dovere…”) e che le parole che
usiamo spesso, creino solchi profondi in noi, nei quali ci ritroviamo a girare.
Dalla descrizione di una realtà oggettiva alla “creazione” di una realtà
interiore. Parole, immagini, metafore.*
Forse potevo iniziare da
qui. Quella sera e i giorni seguenti non ho fatto altro che parlarne con amici
e parenti e ho maturato alcune decisioni:
Se “non ho tempo” è
diventato un piccolo mantra negli anni, ho deciso di sostituirlo con “ho tutto
il tempo che mi serve”, a costo di sembrare scema.
Se per anni mi sono vista
come il Bianconiglio, adesso voglio scegliere una creatura più leggera, e
soprattutto meno ansiosa, un pesce volante non mi dispiacerebbe.
I primi risultati sono
già arrivati.
Oggi per esempio ho
scelto di passare mezza giornata da sola al museo, a farmi travolgere dalla
bellezza dell’arte, pranzare con calma,
prendere appunti per il blog e fare minuscoli schizzi per questo piccolo
ritratto.
Per dirti quanto ti ho
amato, my dear, e che avrò piacere di vederti ogni tanto, ma è tempo di volare.
* Un libro che mi ha dato molti spunti di riflessione: Tutta un'altra vita, di Lucia Giovannini